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Asili nido, pochi posti disponibili in quelli comunali, rette oltre gli 800 euro nei privati

I servizi per l’infanzia sono essenziali per favorire la natalità e la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. In Italia, però, i posti disponibili negli asili nido sono pochi, bastano solo per il 28% dei bambini, e le rette sono salate, arrivano anche a circa un quinto del reddito familiare. Lo dice la nostra inchiesta in 8 città in cui abbiamo scandagliato i costi di asili nido privati e comunali. Milano è la più cara.

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13 febbraio 2024
gioco per bimbi davanti ad asilo

“Dignità è non dover essere costrette a scegliere tra lavoro e maternità” lo ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo discorso di insediamento di fronte al Parlamento ormai due anni fa (febbraio 2022). Purtroppo, in questi due anni non sembra esserci stato un passo avanti significativo nella direzione indicata dal Presidente, basta guardare i posti disponibili negli asili nido che bastano solo per il 28% dei bambini (dati Istat). Non solo nei nidi comunali è difficile trovare posto, le rette in molte città sono salate anche se differenziate in base all’Isee: siamo sui 500 euro circa a Milano e Torino e poco meno a Firenze per una famiglia con un Isee di 30mila euro.

Non va meglio nei nidi privati, dove gli orari sono più flessibili, ma la retta media è salatissima: 640 euro e a Milano arriva oltre gli 800. Rette insostenibili per un servizio così essenziale se si pensa che le famiglie costrette a rivolgersi al privato devono investirci circa un quinto del loro reddito medio annuo. Lo dice la nostra inchiesta in otto città in cui abbiamo scandagliato le rette di asili nido privati e comunali.

I servizi per l'infanzia sono uno dei tasselli fondamentali per far sì che le donne non debbano lasciare il lavoro o rinunciare a reinserirsi per dedicarsi alla cura dei loro bambini, quindi devono esserci più posti al nido con costi sostenibili.

Basta guardare i numeri delle dimissioni convalidate dall’Ispettorato nazionale del lavoro perché presentate nei primi tre anni di vita del figlio: nel 2022 sono aumentate del 17,1% rispetto al 2021. A licenziarsi sono soprattutto le donne (72,8% dei provvedimenti cioè più di 44mila dimissioni convalidate) per la difficoltà di tenere insieme l’impiego e la cura dei figli (la ragione addotta dal 63% delle neomamme). Tra le motivazioni, una su tre, ci sono l’assenza di parenti di supporto, l’elevata incidenza dei costi di asilo nido o babysitter e non aver trovato posto al nido. Mentre, per gli uomini la motivazione principale è il passaggio a un’altra azienda (78,9%). Quindi, il welfare per le famiglie è da ripensare, anche in un’ottica futura in cui ci sarà sempre meno l’aiuto dei nonni visto che l’età di pensionamento sarà sempre più alta e quindi saranno ancora al lavoro. Così come anche i padri devono assumersi le loro responsabilità di cura della prole, per cui deve anche venire meno il divario salariale che fa sì che spesso nell’economia della famiglia resti a casa chi guadagna meno, quasi sempre la donna. 

L'inchiesta sui costi dei nidi privati e di quelli comunali in otto città

La nostra inchiesta ha scandagliato le rette dei nidi privati (285) e quelle dei nidi comunali di otto città. Abbiamo anche coinvolto mille genitori della nostra community ACmakers per farci raccontare come gestiscono la giornata del loro bambino in età da asilo nido (dai 6 mesi ai 3 anni). Ne emerge un quadro sconfortante del divario tra le  esigenze dei genitori e i servizi per l’infanzia disponibili. Troppo spesso il welfare è quello dei nonni almeno per chi ha la fortuna di averli non troppo distanti, in salute e già in pensione. Tra l’altro, un prezioso aiuto che sta diventando sempre meno disponibile viste le politiche previdenziali che allungano sempre di più la permanenza al lavoro.

Secondo i genitori intervistati, lo Stato dovrebbe intervenire su tre fronti:

  • introdurre norme che diano una maggiore flessibilità lavorativa;
  • investire per aumentare gli asili nido e i posti disponibili;
  • contribuire al pagamento della retta almeno in parte per tutti.

E' evidente come la carenza di servizi per l’infanzia e i costi spesso insostenibili per le famiglie siano tra i nodi da sciogliere per arrestare il calo demografico (la popolazione italiana a fine 2022 è scesa sotto i 59 milioni secondo l’Istat: per ogni bambino con meno di 6 anni ci sono più di 5 anziani) ed evitare che le donne siano costrette a scegliere tra lavoro e maternità.

Nidi comunali: anche più di 500 euro di retta mensile. Milano, Firenze e Torino le più care

Come abbiamo visto è necessario ampliare i posti disponibili nei nidi comunali, ma bisogna anche garantire che i costi siano sostenibili. La retta è differenziata in base all’Isee, ma resta salata se si pensa che per un Isee di 30mila euro a Milano e Torino si superano i 500 euro mensili. Considerando l’orario più esteso disponibile e un Isee di 30mila euro, Torino (503 euro mensili), Milano (502 euro) e Firenze (475 euro) sono le più care, Napoli, Roma e Palermo le meno care (rispettivamente 290, 298 e 300 euro mensili).

Uno dei problemi che sono emersi dai racconti dei mille intervistati della community di ACmakers è la scarsa flessibilità degli orari: «Se non fosse per il supporto di genitori, io o mia moglie avremmo dovuto lasciare il lavoro per occuparci dei due figli. Non solo i costi dei nidi sono alti, ma hanno anche orari incompatibili con le attività lavorative». Infatti, nella maggior parte delle città, il bambino può essere portato al nido alle 8 (solo Roma e Torino aprono alle 7) e ripreso alle 17 o 17.30, in poche si spingono fino alle 18 e oltre (Bologna, Milano e Genova).

Infografica tariffe nidi comunali

Più di 800 euro a Milano e più di 700 a Firenze: le rette salate dei nidi privati 

Per chi non è riuscito a entrare nel nido comunale, non resta che il privato. Quanto costa? Per la nostra inchiesta, ci siamo messi nei panni di una famiglia che per motivi di lavoro deve lasciare il bambino di 18 mesi al nido per il numero massimo di ore disponibile (in media 10 ore). In otto città abbiamo contattato 285 nidi privati accreditati o autorizzati dal Comune, chiedendo l’ammontare della tariffa mensile. Abbiamo escluso le sezioni “primavera” (per i bambini dai 2 anni in su) e i nidi che accolgono meno di 10 bambini. Abbiamo anche rilevato il costo della retta mensile per l’orario minimo disponibile che è in media di cinque ore. Le cifre parlano da sole: 640 euro il costo medio per il full time e 532 per l’orario ridotto. Bisogna dire che ci sono grandi disparità territoriali: considerando la tariffa oraria per il full time, Milano è la città più cara (812 euro costo medio mensile), costa il 24% in più rispetto alla media, seguita a ruota da Firenze (717 euro).

Nel Sud del Paese troviamo i nidi meno cari, a Palermo (in media 324 euro mensili, il 31% in meno della media) e a Napoli (444 euro in media).

Da segnalare il caso positivo di Bologna (costo medio 582 euro mensili) dove il Comune contribuisce al pagamento della retta del nido privato con una quota mensile che varia in base all’Isee e va da un minimo di 250 euro (senza presentare l’Isee) a un massimo di 730 euro (Isee inferiore a 12mila euro).

Infografica tariffe nidi privati

Troppe chiusure in estate

Il servizio dei nidi a luglio e agosto è importante per i genitori che lavorano se non ci sono i nonni a cui affidare i figli e abbastanza ferie per coprire i mesi estivi. A luglio solo il 2% dei nidi chiude del tutto, il 12% per qualche settimana, l’86% rimane aperto. Invece, ad agosto il 93% dei nidi chiude.

Pochi nidi soprattutto al Sud, ma arrivano i soldi del Pnrr (anche se meno di quelli previsti)

Tra gli obiettivi dell’Unione europea c’è quello di far sì che il 45% dei bambini frequenti servizi educativi di qualità entro il 2030. L’Italia è lontana da questo obiettivo con solo il 28%.

Anche se ci sono ampi divari territoriali: il Centro-Italia e il Nordest in media hanno una copertura dei posti ben superiore al 33% dei bambini residenti (36,7% e 36,2%, rispettivamente), il Nord-ovest è prossimo all’obiettivo (31,5%), ma il Sud e le Isole sono ancora lontani (16% circa). Siamo in netto ritardo se consideriamo che la media Ue è di 37,9% e che i nostri vicini di casa Francia e Spagna vanno oltre il 50% e altri Paesi, come l’Olanda e la Danimarca, si attestano al 74,2% e al 69,1%.

Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) che ha ricevuto il via libera della Commissione europea, l’Italia si impegna a realizzare 150 mila nuovi posti nei nidi, centomila in meno rispetto ai 250 mila che erano stati ipotizzati anche per ridurre il divario territoriale aumentando i posti al Sud.

Secondo il governo, la rimodulazione si è resa necessaria per i costi delle materie prime, cresciuti - di almeno il 50% rispetto alle stime del 2021 - e anche perché Bruxelles non ha ritenuto ammissibili come nuovi posti gli interventi di messa in sicurezza, demolizione e ricostruzione, nonché i centri polifunzionali. Così c’è stato un taglio di 900 milioni. Dal governo assicurano che non sarà definanziato nessun intervento già aggiudicato e saranno mantenute le risorse già assegnate ai Comuni. L’obiettivo sarebbe di raggiungere il 33% di copertura entro il 2026. Staremo a vedere.

Un welfare da ripensare

Il governo ha messo in campo una serie di aiuti per le famiglie con figli a carico. La manovra di bilancio per il 2024, ha rifinanziato il bonus asili nido e ha introdotto il cosiddetto bonus mamme lavoratrici, ovvero una misura che per i prossimi due anni esonera dal pagamento dei contributi pensionistici alcune tipologie di lavoratrici con figli (da due figli in su), consentendo loro di avere più soldi in busta paga.

A partire da gennaio, poi, ha aumentato del 5,4% circa l’importo dell’assegno unico universale destinato a tutte le famiglie con figli a carico dal settimo mese di gravidanza fino ai 21 anni. L’assegno è progressivo quindi aumenta al diminuire del reddito Isee e parte da un importo minimo di 57 euro mensili per le famiglie oltre i 45.575 a un massimo di 200 euro per Isee di 17.090 euro.

Oltre ai bonus, l’esecutivo ha introdotto anche un mese in più di congedo parentale retribuito all’80% utilizzabile fino al sesto anno di età del figlio.

Con i bonus il governo intende incentivare la natalità e sostenere soprattutto le famiglie più numerose, ma restano provvedimenti limitati anche nel tempo che danno un sollievo temporaneo e non per tutti. Ad esempio, il bonus mamme lavoratrici sta facendo discutere perché esclude le lavoratrici dipendenti con contratti a tempo determinato, le libere professioniste, le lavoratrici autonome, le lavoratrici domestiche e tutte le lavoratrici senza figli o con un figlio unico. In pratica, riguarderebbe solo il 6% delle donne occupate.

Dall'altro lato, manca una politica coerente se si pensa che, con la legge di bilancio, il governo ha tolto l’Iva agevolata al 5% proprio sui prodotti destinati alla prima infanzia – pannolini, latti artificiali e seggiolini auto – e alle donne come gli assorbenti femminili. Così l’Iva su questi prodotti è tornata al 10% e quella dei seggiolini passa addirittura al 22%.

Un welfare da ripensare, anche in un’ottica futura in cui ci sarà sempre meno l’aiuto dei nonni visto che l’età di pensionamento sarà sempre più alta. La "dignità" è ancora da conquistare in un Paese in cui le donne sono ancora troppo spesso costrette a scegliere tra lavoro e maternità.

Uno Stato fondato sui nonni

Dalle parole dei più di mille genitori con figli dai 6 ai 36 mesi della nostra community ACmakers emerge il profondo divario tra le loro esigenze e i servizi per l’infanzia disponibili. Eccone alcune. 

Più servizi per le famiglie. «Ritengo che bonus una tantum o assegno unico non siano misure sufficienti a incentivare la natalità in quanto occorrono cambiamenti nelle strutture e nei servizi a supporto alle famiglie (asili, scuole, servizi post scolastici...)».

Uno Stato fondato sui nonni. «Se non avessi nonni in pensione abbastanza in salute da permettergli di che andare a prendere i bimbi a scuola e tenerli fino a quando noi genitori rientriamo a casa dalla giornata di lavoro, avrei dovuto lasciare il mio lavoro, perché la mia azienda non concede part time. Il governo dovrebbe smettere di allungare l’età pensionabile per fare in modo che ci siano più nonni disponibili, altrimenti non sarà possibile fare figli in futuro».

Se l’Iva sui pannolini aumenta. «La mia esperienza è stata verificare la corrispondenza tra ciò che i politici affermano, e la realtà dei fatti. Si incoraggiano le nascite, ma poi si raddoppia l’Iva su latte in polvere, pannolini e prodotti per infanzia».

Rinuncia al lavoro. «Per chi non ha l’aiuto dei nonni, arriva sempre il momento in cui scegliere tra lavoro e baby-sitter, l’asilo non basta per essere sempre coperti. Se lo stipendio non è altissimo e visto il costo della baby sitter non ha molto senso andare a lavorare per investire la quasi totalità dello stipendio in baby-sitter che accudiscano tuo figlio al posto tuo, per cui si è costretti a rinunciare al posto di lavoro».

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