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Mascherine: come riconoscere quelle affidabili

Chirurgiche, di stoffa o filtranti (le famose FFP2 e FFP3). Sulle caratteristiche e sull’uso delle mascherine abbiamo imparato molto. Ma come facciamo a sapere quali prodotti, tra tutti quelli presenti sul mercato, sono davvero a norma di legge e dunque affidabili? Per aiutarvi a capire quali mascherine hanno davvero le carte in regola abbiamo preparato una guida sulle certificazioni.

03 marzo 2021
mascherine lavabili

La forte richiesta di mascherine generata dalla pandemia ha fatto sì che il mercato fosse inondato di prodotti di ogni tipo: dalle mascherine più tradizionali ad uso medico, come quelle chirurgiche e i filtranti facciali (le ormai famose FFP2 e FFP3), a quelle in tessuto (fatte di molti materiali diversi) destinate esclusivamente alla comunità.

Ma come facciamo a capire quali, tra questi prodotti, sono davvero affidabili? Come capire se una mascherina chirurgica o una mascherina FFP2 sono certificate? I certificati che si trovano on-line con i prodotti sono autentici? Che garanzie mi offre una mascherina di stoffa? Con questa guida cerchiamo di dare una risposta a tutte queste domande.

A cosa fare attenzione

Non è semplicissimo capire se una mascherina, chirurgica o no, sia affidabile o meno. In molti casi le certificazioni o le garanzie che dovrebbero accompagnare questi prodotti sono assenti o, se presenti, sono sospette. Noi per primi, in più occasioni, abbiamo riscontrato che l’offerta di alcune mascherine in vendita in rete si accompagnava a certificati di dubbia validità.

Per capire l’autenticità o meno dei prodotti ci sono delle verifiche che possiamo fare da soli. Ve le mostriamo tutte per ciascun tipo di mascherina: chirurgica, filtrante (FFP2 E FFP3), di comunità (ad esempio quelle di stoffa).

Mascherine chirurgiche: come capire se sono certificate?

Le mascherine chirurgiche, per legge, sono classificate come dispositivi medici. In questa categoria rientrano vari prodotti utilizzati a scopo medico-sanitario, tra cui ad esempio gli occhiali da vista, le sedie a rotelle oppure le valvole cardiache artificiali. In quanto dispositivo medico, le mascherine chirurgiche devono assicurare non solo il rispetto della normativa generale dei dispositivi medici (Dir. 93/42/CEE) ma anche soddisfare i requisiti imposti dalla norma tecnica EN 14683, che ne delinea le prestazioni minime in termini di efficacia filtrante e respirabilità.

Non si tratta di aspetti formali: il rispetto di quanto stabilito dalla normativa ci aiuta a riconoscere una vera mascherina chirurgica.

Le informazioni che distinguono una vera mascherina chirurgica

In quanto dispositivo medico, il fabbricante certifica al ministero della Salute che la sua mascherina assicura una elevata capacità filtrante e un’ottima respirabilità, che invece mascherine che non si qualificano come dispositivo medico non possono garantire.

Sulla confezione, per legge, devono essere presenti alcune informazioni.

  • Dispositivo medico. La prima è proprio l’indicazione che il prodotto è un dispositivo medico (a volte indicato anche come DM). Nello specifico, le mascherine chirurgiche sono dispositivi medici di classe 1. Quando infatti una mascherina non è un DM, come nel caso delle mascherine di comunità (cioè le mascherine di stoffa vendute ai cittadini), allora deve riportare chiaramente che non si tratta né di un dispositivo medico (indicato anche come DM) né di un dispositivo di protezione individuale (indicato anche come DPI).
  • Codice EN 14683. Insieme alla chiara indicazione delle classificazione come dispositivo medico, se la mascherina è una vera mascherina chirurgica, la confezione riporta solitamente anche un codice, EN 14683. Questo è il riferimento alla norma tecnica da rispettare obbligatoriamente, perché stabilisce i requisiti minimi di capacità filtrante e respirabilità delle mascherine ad uso medico.
  • Marchio CE. Il riferimento alla norma compare di solito vicino al marchio CE, che viene apposto sul prodotto a garanzia del rispetto delle norme vigenti. Attenzione: il marchio CE, per legge, deve avere proporzioni precise. Se il marchio è diverso da quanto stabilito dalla legge e ha proporzioni differenti, allora è possibile che sia contraffatto e il prodotto non assicura il rispetto degli standard di sicurezza imposti dalle normative europee.
Controlla l’elenco del ministero della Salute

Se la mascherina riporta le tre indicazioni che abbiamo visto nel paragrafo precedente, possiamo essere un po’ più sicuri che il prodotto sia una vera mascherina chirurgica e garantisca buone prestazioni (capacità di filtrazione e respirabilità). C’è però un’altra verifica che possiamo fare.

Il rispetto della normativa impone che sulla confezione delle chirurgiche sia riportato:

  • il fabbricante, cioè chi le ha prodotto o le ha fatte produrre a terzi, con sede in UE
  • il mandatario, cioè l’azienda in territorio UE che rappresenta un produttore extra-UE.

Con questi dati, insieme al nome commerciale della mascherina, si può verificare la presenza del dispositivo nell’elenco dei dispositivi medici del ministero della Salute. L’elenco non è di facile utilizzo. Meglio quindi provare più volte la ricerca prima di decretare un insuccesso. Una volta effettuata la ricerca, se la mascherina è presente a registro, il risultato vi riporterà il prodotto che avete cercato, che risulterà classificato come “mascherina chirurgica” nella colonna CND.

Se indicazioni e marchi mancano? E se non è nell’elenco ministeriale?

Se mancano le informazioni e la marcatura e se il prodotto non compare nell’elenco le situazioni che si presentano sono due.

  • Non si tratta di una mascherina ad uso medico e non ci sono garanzie di efficacia.
  • La mascherina è sì una mascherina ad uso medico, ma è stata prodotta in deroga alla norma durante lo stato di emergenza.

Nel primo caso, una mascherina che non si qualifica come dispositivo medico, non riportando il riferimento alla norma tecnica e non avendo il marchio CE è a tutti gli effetti una “mascherina di comunità”. Questa categoria di mascherine è stata introdotta dal decreto Cura Italia, all’articolo 16, nel pieno dell’emergenza, quando a fronte di una forte carenza di mascherine ad uso medico (chirurgiche e FFP2 e FFP3) per il personale sanitario le autorità hanno autorizzato e suggerito alla popolazione generale di utilizzare mascherine non ad uso medico.

In questo calderone sono quindi finite tutte quelle mascherine che, non rispettando i requisiti stringenti richiesti per le mascherine ad uso medico, non potevano essere utilizzare in ambito sanitario, ma che venivano considerate sufficienti per l’uso in comunità, dove poteva al contempo essere garantito il rispetto della distanza di sicurezza. Queste mascherine, per legge, non hanno l’obbligo rispettare alcun requisito di filtrazione o respirabilità, ma devono chiaramente indicare al pubblico, sulla confezione, che non si configurano né come dispositivo medico, né come dispositivo di protezione individuale. Queste mascherine quindi non riportano alcun marchio CE e nessun riferimento alla normativa dei dispostivi medici o alla norma tecnica EN 14683. Insomma, per eventuali mascherine simil-chirurgiche che riportano di non essere un DM o un DPI, non ci sono garanzie sui requisiti minimi di filtrazione e respirabilità, che potrebbero avere come non avere.

Nel secondo caso, invece, potremmo trovarci di fronte a mascherine che hanno sì i requisiti necessari per essere utilizzate in ambito sanitario, cioè sono delle vere e proprie mascherine chirurgiche, ma che non presentano il marchio CE e non sono inserite nel database perché sono state fabbricate in deroga alle norme vigenti, come stabilito dall’articolo 15 del decreto Cura Italia. Questa deroga è stata introdotta per velocizzare l’immissione in commercio di mascherine ad uso medico da usare strettamente in ambito sanitario e resterà in vigore fino alla fine dello stato di emergenza. La deroga alla trafila burocratica, però, non comporta una deroga agli standard tecnici e di qualità previsti dalla norma tecnica EN 14683. Infatti, queste mascherine possono essere vendute in ambito sanitario solo se i produttori autocertificano l’aderenza alle norme tecniche previste, mandando i documenti di prova all’Istituto superiore di sanità, che una volta ricevuta la documentazione, ne autorizzerà la commercializzazione in ambito sanitario.

Questi prodotti sulla confezione devono, tra le varie informazioni, riportare il riferimento al norma tecnica EN 14683 oltre all’indicazione della tipologia della mascherina chirurgica (tipo 1, 2 o 2R). Il sito dell’Istituto superiore di sanità ha una pagina dedicata al tema, dove è possibile verificare le “autorizzazioni rilasciate” dall’ISS. NNel file, disponibile tra gli allegati a fondo pagina e aggiornato periodicamente, si possono trovare i nomi delle aziende autorizzate a fabbricare mascherine in deroga alla normativa e la tipologia di mascherina autorizzata. Purtroppo non è invece disponibile un elenco degli importatori autorizzati a importare mascherine dall’estero, poiché questa tipologia di richiesta è di competenza delle Regioni e non più dell’ISS.

Le certificazioni e i documenti che compaio in rete sono affidabili?

I certificati che si trovano in rete a supporto delle validità, sicurezza o qualità delle mascherine chirurgiche andrebbero sempre, per precauzione, considerati un falso. Il motivo è questo: le mascherine chirurgiche, per legge, devono sì garantire specifici standard, valutati da laboratori e personale qualificato, ma non necessitano di certificati di conformità provenienti da enti o organismi notificati cioè quegli enti di certificazione autorizzati dalle autorità a valutare la conformità di alcuni prodotti alle norme vigenti.

La normativa, infatti, per questo tipo di dispositivi prevede che il fabbricante emetta la dichiarazione di conformità in modo autonomo e che sia lui stesso garante dell’aderenza del prodotto alle norme vigenti. Quindi, i certificati che fanno riferimento a enti terzi che certificherebbero l’aderenza delle mascherine chirurgiche alle norma europee sono quasi sempre dei falsi, che riportano in modo illecito il nome di enti notificati. Inoltre, a differenza di quanto accade per i dispositivi di protezione individuale, il marchio CE non è accompagnato dal codice a 4 cifre che indentifica un ente notificato.

Mascherine filtranti FFP2 e FFP3: come capire se sono certificate?

Le maschere filtranti facciali, per intenderci le FFP2 ed FFP3 o N95 (l’equivalente americano delle FFP2) sono dei veri e proprio Dispositivi di Protezione Individuale (DPI).

Un prodotto, per essere un dispositivo di protezione individuale, deve rispettare quanto stabilito nel regolamento UE 425/2016. La norma stabilisce che le maschere filtranti come le FFP2 e FFP3 sono DPI appartenenti alla categoria III di rischio: ciò significa che per essere messe in commercio, i produttori devono prima passare il vaglio di un organismo notificato specializzato nella certificazione dei dispositivi di protezione delle vie respiratorie. L’organismo notificato certificherà l’aderenza del prodotto ai requisiti della norma tecnica EN 149:2001 ed il produttore, potendo così dimostrare la conformità del prodotto, può apporre il marchio CE.

Le informazioni per riconoscere un dispositivo di protezione individuale

In quanto dispositivo di protezione individuale, il fabbricante garantisce che la sua maschera filtrante abbia una elevatissima capacità filtrante nei confronti di particelle e goccioline molto piccole e un’ottima respirabilità, che invece mascherine che non si qualificano come DPI non possono garantire.

Queste prestazioni sono assicurate se il produttore ha rispettato i requisiti stabiliti nella norma tecnica EN 149:2001 + A1:2009, specifica per i filtranti facciali. Ed è per questo che sulle confezioni o sul prodotto stesso ritroviamo riportata questa indicazione, prevista dal regolamento.

Insieme al riferimento alla norma tecnica, la maschera filtrante deve riportare sulla confezione o sul prodotto il marchio CE, apposto a garanzia del rispetto delle norme vigenti. Nel caso dei DPI come le FFP2 e FFP3, il marchio CE compare accompagnato da un codice di 4 numeri, che identifica l’organismo notificato che ha certificato la conformità del prodotto alle norma europea. Questa autorizzazione è prevista dal regolamento europeo ed è una garanzia anche per noi consumatori, perché grazie al codice di 4 cifre abbiamo un ulteriore modo per valutare l’affidabilità del prodotto che abbiamo comprato (vedi prossima faq).

Attenzione: il marchio CE, per legge, deve avere proporzioni preciseSe il marchio è diverso o ha proporzioni differenti, allora è possibile che sia contraffatto e il prodotto non assicura il rispetto degli standard di sicurezza imposti dalle normative europee.

Come verificare la correttezza di certificati e prodotto

Come abbiamo già spiegato, i DPI vengono valutati da un ente terzo, chiamato Organismo Notificato, che una volta valutata la corrispondenza del prodotto alle norme tecniche vigenti, ne dichiara la conformità. Da questo percorso di autorizzazione derivano due informazioni per noi utili per fare le nostre verifiche sul DPI.

  • La prima, è il codice di 4 lettere che accompagna il marchio CE e che identifica in modo inequivocabile l’ente che ha certificato l’aderenza del DPI alle norme.
  • La seconda informazione è che se il DPI si accompagna ad un “certificato”, noi possiamo fare alcune verifiche.

Gli organismi notificati sono individuati e autorizzati dalle autorità. Un elenco esaustivo di tutti gli organismi notificati è presente database NANDO della commissione europea.

Grazie all’elenco possiamo verificare se il numero che troviamo sotto il marchio CE della nostra mascherina FFP2 o FFP3 corrisponde effettivamente ad un ente autorizzato a valutare dispositivi di protezione delle vie respiratorie. Una volta trovato il codice di 4 numeri nell’elenco e aperta la scheda dell’organismo notificato, si potrà verificare quali tipologie di prodotti e normative è autorizzato a certificare l’ente in questione. Nel caso delle maschere filtranti dovremo trovare proprio il riferimento ai “personal protective equipment” e al Regolamento EU 2016/425 e nello specifico, tra i prodotti valutati, il riferimento a “Equipment providing respiratory system protection”

Questa stessa verifica può essere fatta consultando un altro elenco del database Nando, che non elenca i codici degli organismi notificati, ma elenca le normative e i regolamenti di specifici prodotti. In questo caso andremo a selezionare Regulation (EU) 2016/425 Personal protective equipment e successivamente restringeremo il campo della ricerca alla sola valutazione degli “Equipment providing respiratory system protection”. A questo punto ci comparirà la lista di tutti gli organismi notificati che valutano dispositivi di protezione delle vie respiratorie, che ci tornerà utile soprattutto quando vorremo capire se l’organismo notificato o più in generale, l’ente che figura su di un certificato, sia davvero autorizzato a fare verifiche di mascherine filtranti. Se non compare in questo elenco, il certificato è quasi certamente un falso

Non solo: un certificato di conformità emesso da un organismo notificato e che accompagna un dispositivo di protezione individuale deve contenere delle informazioni obbligatorie. Se queste informazioni non sono presenti, è molto probabile che il certificato non sia autentico. Le informazioni indispensabili sono:

  • nome e codice numerico dell’organismo notificato che certifica;
  • nome e indirizzo del fabbricante o del mandatario;
  • tipologia di DPI;
  • riferimento alle norme tecniche considerate per la certificazione della conformità
  • data di rilascio.

Purtroppo, come ci spiegava già tempo fa l’ente Accredia, che è l’ente nazionale di accreditamento per i laboratori di prova e degli organismi di certificazione, online le maschere filtranti viaggiano spesso accompagnate da certificati falsi.

Nel caso in cui si abbia di fronte un certificato facente riferimento ad un ente notificato presente nel database NANDO tra gli enti che certificano DPI per le vie respiratorie o si avesse in mano una FFP con marchio CE e codice che identifica uno di enti, allora lo step successivo è verificare il certificato o il prodotto presso l’organismo notificato. Per fare questo, si può contattare l’ente per email oppure visitare il sito web dell’ente (l’indirizzo è riportato così come ogni altra informazione nel database NANDO).

Nei siti degli organismi notificati, di solito, è possibile verificare la veridicità dei certificati o rintracciare il produttore che ha richiesto una valutazione della conformità. È possibile arrivare a queste informazione attraverso dei motori di ricerca in cui inserire il nome del produttore o il codice del certificato. Un’altra via è quella del QR code: alcuni imballaggi o certificati di DPI sono dotati di QR code che rimanda direttamente al sito dell’ente dove verificare la validità della certificazione Se invece si è in negozio o farmaci e si vuole verificare subito il codice numerico dell’organismo notificato, allora bisogna ritornare sul database NANDO selezionare nuovamente nel campo prodotto gli “Equipment providing respiratory system protection” e nella tabella verificare a quale organismo notificato fa riferimento il codice numerico riportato sotto il marchio CE. Nella tabella sono presenti tutte le informazioni riguardanti l’ente.

Se il dispositivo non ha marcatura CE o si accompagna ad un certificato falso?

In questo caso le possibilità sono due.

  • Il prodotto acquistato, di solito in rete, non è un vero DPI e purtroppo, non possiamo avere garanzie sulle sue prestazioni.
  • Il prodotto acquistato è un DPI, ma è stato prodotto e venduto in deroga alla normativa vigente.

In questo secondo caso bisogna dire che durante l’emergenza il decreto Cura Italia ha introdotto una deroga al rispetto delle norme vigenti per velocizzare l’immissione in commercio di DPI ad uso medico da usare strettamente in ambito sanitario e che resterà in vigore fino alla fine dello stato di emergenza. Il risultato è che possono essere venduti DPI senza marcatura CE e senza riferimento all’organismo notificato certificatore.

La deroga, però, riguarda solo le tempistiche e prevede comunque il rispetto degli standard tecnici e di qualità previsti dalla norma EN 149:2001. Infatti, i filtranti facciali prodotti in deroga possono essere venduti in ambito sanitario solo se i produttori autocertificano l’aderenza alle norme tecniche previste, mandando i documenti di prova all’INAIL, che una volta ricevuta la documentazione, ne autorizzerà la commercializzazione in ambito sanitario.

Il sito dell’INAIL ha una pagina dedicata al tema, dove è possibile verificare gli elenchi dei DPI validati. Nei file, disponibile tra gli allegati a fondo pagina, si possono trovare trovare i nomi delle aziende autorizzate a fabbricare DPI in deroga e la tipologia di mascherina autorizzata, ma gli elenchi non sono di facile consultazione essendo divisi cronologicamente in funzione della data di validazione. Purtroppo, così come per le mascherine chirurgiche, anche per i DPI non è invece disponibile un elenco degli importatori autorizzati a importare mascherine dall’estero, poiché questa tipologia di richiesta è di competenza delle Regioni e non più dell’INAIL.

Mascherine di comunità (ad esempio di stoffa)

Le mascherine destinate alla collettività sono mascherine non classificabili né come dispositivo medico, né come dispositivo di protezione individuale. Si tratta di una categoria di mascherine legittimata con il decreto Cura Italia, che in sostanza autorizza i cittadini italiani ad utilizzare mascherine che non abbiamo alcuna certificazione.

Pertanto in questa categoria non solo ricadono le mascherine di stoffa che hanno preso piede in questi mesi, ma anche tutte quelle mascherine chirurgiche che, non avendo provato l’aderenza ai requisiti previsti dalla norma (o non avendo la documentazione) vengono ridestinate all’uso da parte della collettività.

Se ben concepite, le mascherine lavabili in stoffa svolgono adeguatamente la loro funzione protettiva. Lo rivela il test su un campione di 22 mascherine riutilizzabili. Sono quindi un’ottima alternativa alle mascherine chirurgiche usa e getta perché hanno un minore impatto ambientale. Bisogna però introdurre uno standard minimo di efficacia e un logo che permetta al consumatore di riconoscere quelle che aderiscono ai requisiti. Lo abbiamo chiesto ufficialmente al ministero della Salute.