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A casa con il Covid: sì a paracetamolo e Fans, no ad antibiotici e cortisone

Il ministero della Salute ha aggiornato le linee guida per la gestione dei malati di Covid-19 con sintomi lievi che vengono curati a casa. Sì all'uso di paracetamolo e Fans in caso di sintomi come febbre e dolori articolari, no agli antibiotici dati in prevenzione. La soglia della saturazione considerata a rischio scende da 94 a 92%. Un'altra novità riguarda gli anticorpi monoclonali: i medici di base potranno considerare anche questa possibilità di cura e indirizzare i pazienti idonei al trattamento ai centri ospedalieri abilitati.

28 aprile 2021
covid a casa

Con la nuova circolare del 26 aprile il ministero della Salute ha aggiornato le linee guida emanate a novembre dello scorso anno per la gestione dei casi lievi di Covid-19 curati a domicilio. Le raccomandazioni hanno lo scopo di rendere omogenee le cure sul territorio italiano e di evitare il ricorso a trattamenti inefficaci o potenzialmente dannosi.

Il concetto che sta alla base delle indicazioni fornite è quello della "vigile attesa": sì al monitoraggio costante dei parametri vitali attraverso il pulsossimetro e l'uso dei farmaci per alleviare i sintomi, come paracetamolo e Fans, no ai trattamenti che non hanno solide evidenze scientifiche, come i supplementi vitaminici e l'idrossiclorochina.
Gli antibiotici vanno utilizzati con moderazione e solo quando è confermata una sovrainfezione batterica.
I cortisonici pure e mai  in prevenzione, perché si rischia di fare più male che bene indebolendo inutilmente la risposta immunitaria.
La novità più interessante è però l'apertura agli anticorpi monoclonali: queste terapie, poiché sono indicate solo per i casi affetti da Covid di recente
insorgenza e con sintomi lievi-moderati, devono essere valutate come un'opzione dal medico di base, che eventualmente indirizzerà la persone nel centro ospedaliero abilitato a prescriverli.

Queste le indicazioni per i medici di famiglia:

  • Non modificare le terapie croniche in atto per altre patologie.
  • Utilizzare un trattamento di tipo sintomatico con paracetamolo o FANS in caso di febbre o dolori articolari o muscolari.
  • Non utilizzare corticosteroidi di routine, un utilizzo precoce di questi farmaci si è rivelato inutile se non dannoso, in quanto in grado di inficiare lo sviluppo di un’adeguata risposta immunitaria.
  • Utilizzare eparina solo se si è immobilizzati a letto.
  • Evitare l’uso di antibiotici: sono da riservare esclusivamente ai casi in cui l’infezione batterica sia stata dimostrata da un esame microbiologico e a quelli in cui il quadro clinico ponga il fondato sospetto di una sovrapposizione batterica.
  • Non utilizzare idrossiclorochina, la cui efficacia non è stata confermata in nessuno degli studi clinici fino a ora condotti.
  • Valutare, se chi è malato rischia un peggioramento (perché ha qualche altra malattia che lo rende fragile), la possibilità di trattamento precoce con anticorpi monoclonali da parte delle strutture abilitate alla prescrizione.
Cosa significa essere un caso lieve

L’infezione ha sostanzialmente tre fasi.

  • Prima fase. È caratterizzata principalmente da sintomi simil-influenzali come malessere generale, febbre e tosse secca. Se l’infezione viene bloccata dal sistema immunitario a questo stadio, il decorso è benigno. Questo avviene nella maggioranza dei casi e si parla di casi lievi.
  • Seconda fase. L’infezione e la risposta immunitaria al virus causano un’infiammazione dei polmoni (si parla di polmonite interstiziale bilaterale) e l’alterazione della funzionalità polmonare. In questa fase si possono avere bassi livelli di ossigeno nel sangue senza percezione di affanno o fame d’aria (si parla di ipossiemia silente). Se però l’infiammazione dei polmoni peggiora, si arriva all’insufficienza respiratoria.
  • Terza fase. Il quadro è aggravato da una forte reazione infiammatoria (detta “tempesta di citochine”) sviluppata dal sistema immunitario nei confronti del virus, con gravi conseguenze per la salute. Questa condizione, che per fortuna è stata osservata in una minoranza di persone, può causare l’infiammazione dei vasi sanguigni e la formazione di coaguli arrivando a causare lesioni polmonari gravi e permanenti.
Il monitoraggio dei livelli d'ossigeno e l'uso del saturimetro

La soglia di sicurezza che viene indicata per le persone che vengono curate a casa è 92% di saturazione dell’ossigeno (SpO2).

La misurazione della saturazione a casa può avvenire a riposo ma può essere eventualmente accompagnata da una valutazione sotto sforzo, ad esempio con il “test della sedia” o con il “test del cammino”, che permette di identificare la cosiddetta “ipossiemia silente” (seconda fase della malattia) e di intervenire richiedendo prontamente il ricovero ospedaliero prima del peggioramento, che può essere anche rapido. Se il valore va al di sotto del 92%, è opportuno chiamare il 112.

Eparina e cortisone: solo in alcuni casi

L’uso di cortisonici (o corticosteroidi) è raccomandato solo in chi è grave. Per chi viene curato a casa, l’uso di corticosteroidi può essere preso in considerazione solo se il quadro clinico non migliora entro le 72 ore e in presenza di un peggioramento che richieda l’ossigenoterapia. È solo in queste persone, infatti, che l’attività antinfiammatoria potente svolta da questi farmaci si rivela utile a contrastare l’eccesso di infiammazione dei polmoni. In fase precoce, invece, non sono utili e possono essere controproducenti proprio per la loro attività depressiva del sistema immunitario, che va invece mantenuto pienamente attivo per contrastare l’infezione.

Anche l’eparina, farmaco anticoagulante utilizzato per prevenire la formazione o per trattare i coaguli sanguigni, non va usata se non si è immobilizzati a letto a causa della malattia.

Idrossiclorochina: efficacia non dimostrata

Per quanto riguarda l’uso di idrossiclorochina il ministero della Salute parla chiaro: non bisogna utilizzarla perché la sua efficacia non è stata confermata in nessuno degli studi clinici controllati fatti fino ad ora.

L’idrossiclorochina, un vecchio farmaco antimalarico che da tempo viene utilizzato per il trattamento di alcune malattie reumatiche autoimmuni, è stato precocemente suggerito anche come antivirale sulla base di prove preliminari di laboratorio. Inoltre, spesso è stata utilizzata e prescritta a molti pazienti anche al di fuori delle sue indicazioni terapeutiche autorizzate.

Studi clinici più affidabili hanno però presto evidenziato la sua inutilità come antivirale, sia nei pazienti più gravi, sia nei pazienti più lievi. Non solo: la terapia può avere effetti dannosi a carico di cuore, reni e fegato oltre ad interagire negativamente con altre terapie farmacologiche molto importanti, come farmaci per ridurre la glicemia, per regolare il ritmo cardiaco, farmaci antiepilettici e l’immunosoppressore ciclosporina.

Il ministero sconsiglia anche l’uso di antivirali usati nel trattamento dell’infezione da HIV (lopinavir/ritonavir o darunavir/ritonavir o cobicistat). Inizialmente questi farmaci sono stati usati negli ospedali in virtù di una possibile azione antivirale, ma si sono rivelati inefficaci sia per prevenire che per curare l’infezione.

Integratori e vitamine: inutili contro il covid

A parte l’idratazione e una corretta alimentazione, per il trattamento del Covid-19 non è suggerito altro. Integratori a base di estratti vegetali oppure contenenti vitamine ad alti dosaggi, come la vitamina D, o sostanze come la quercitina o la lattoferrina con ipotetica ma non provata azione antivirale, non sono considerati utili sulla base delle prove scientifiche esistenti.