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Melatonina: cuore davvero a rischio? Cosa dice l'ultimo studio americano

Uno studio presentato a un recente congresso dell’American Heart Association solleva dubbi sulla sicurezza della melatonina: l’uso prolungato potrebbe aumentare il rischio di insufficienza cardiaca e morte. Si tratta di dati ancora da confermare, ma da non sottovalutare: sui rischi degli integratori sappiamo ancora troppo poco.

Con il contributo esperto di:
05 novembre 2025
Donna dorme a letto con medicine sul comodino

La melatonina è spesso vista come un alleato del riposo: un rimedio “naturale” che aiuta a prendere sonno o ad attenuare gli effetti del jet lag, disponibile senza ricetta e percepito come innocuo. In realtà, la melatonina è un ormone che il nostro organismo produce naturalmente durante le ore di buio, regolando il ritmo sonno-veglia. Le versioni sintetiche vendute come integratori o farmaci ne imitano l’effetto, ma con scarsi risultati e a oggi, scopriamo, con possibili nuovi rischi.

Un nuovo studio presentato a un congresso dell’American Heart Association (AHA), una delle più autorevoli società scientifiche al mondo in ambito cardiologico, mette infatti in discussione questa immagine rassicurante. Secondo questi dati, l’uso prolungato di melatonina sarebbe associato a un rischio di insufficienza cardiaca quasi raddoppiato, triplo rischio di ricovero e doppio rischio di morte per qualsiasi causa rispetto a chi non la utilizza. Numeri che sorprendono, considerando la diffusione di questo integratore e la fiducia di cui gode tra chi cerca una soluzione “dolce” per dormire meglio.

Vediamo però più da vicino che cosa dicono davvero questi dati.

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Lo studio: il rischio di problemi cardiaci raddoppia

Lo studio, presentato durante le Scientific Sessions 2025 dell’AHA a New Orleans, ha analizzato i dati di oltre 130.000 adulti con insonnia (età media 56 anni, per il 60% donne) raccolti nel database internazionale TriNetX Global Research Network, che aggrega milioni di cartelle cliniche reali da diversi Paesi.

I ricercatori hanno considerato cinque anni di cartelle cliniche elettroniche, confrontando la storia medica di circa 65.000 persone che hanno usato melatonina per almeno un anno, con quella di altrettanti soggetti per cui non risultava alcun utilizzo. I due gruppi sono stati abbinati in base a 40 parametri, tra cui età, sesso, stazza, malattie cardiache o neurologiche pregresse e terapie farmacologiche, per garantire la massima comparabilità. Sono stati esclusi dal confronto coloro che avevano già sofferto di insufficienza cardiaca o avevano assunto altri farmaci per dormire (ad esempio, delle benzodiazepine).

I risultati mostrano che chi aveva assunto melatonina per più di un anno presentava:

  • quasi il doppio delle probabilità di sviluppare insufficienza cardiaca (4,6% contro 2,7%);
  • oltre tre volte il rischio di ricovero per scompenso cardiaco (19% contro 6,6%);
  • quasi il doppio della probabilità di morire per qualsiasi causa (7,8% contro 4,3%) nel periodo di osservazione.
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Dati che necessitano di conferma

Come considerare questi dati? Sono affidabili? La melatonina fa davvero male al cuore?

Anche se i dati arrivano da un importante congresso di cardiologia, è presto per esprimersi. Lo studio di cui stiamo parlando non è stato ancora pubblicato in una rivista scientifica e non è stato ancora sottoposto a revisione tra pari. Solo dopo la pubblicazione, potremo valutarne in modo completo e obiettivo limiti e punti di forza. Lo studio in oggetto è uno studio osservazionale, che per natura non può dimostrare relazioni causa-effetto, ma mettere in luce possibili legami che vanno attentamente valutati; è quindi possibile che l’associazione tra melatonina e problemi cardiaci sia reale ed espressione di una relazione causale, ma per poterlo dire è essenziale che lo studio abbia reso ben confrontabili i due gruppi.

Non è del tutto escluso, ad esempio, che le persone che hanno assunto melatonina per così tanto tempo abbiano uno stato di salute più fragile (che ha portato loro a preferire un rimedio considerato innocuo, meno problematico), o disturbi del sonno un po’ più gravi (che li hanno portati a cercare un rimedio), e che proprio questi fattori aumentino il rischio di problemi cardiaci. I ricercatori non avevano infatti informazioni sulla gravità dell’insonnia, né su possibili patologie psichiatriche. Non è neppur escluso che un uso di melatonina (non registrato in cartella clinica) sia stato fatto anche nel gruppo “no melatonina”, in quanto questo integratore è facilmente acquistabile senza necessità di ricetta.

Apparentemente, lo studio sembra avere creato due gruppi ben confrontabili e fatto tutte le ponderazioni del caso, ma questo sarà più chiaro solo quando tutti i dati saranno a disposizione della comunità scientifica.

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Segnali di rischio da non sottovalutare

Sebbene questi risultati vadano presi con cautela, la dimensione del campione e la gravità degli esiti non permettono di considerarli irrilevanti: aprono piuttosto una riflessione su quanto poco si sappia degli effetti a lungo termine degli integratori, usati spesso come se fossero innocui. Ad oggi, tali rischi per il cuore non erano annoverati tra gli effetti avversi dei farmaci a base di melatonina.

I nuovi dati sui rischi cardiovascolari potrebbero in futuro costringere i medici a rivedere il consiglio di usare la melatonina in caso di problemi di sonno, a fronte del fatto che i benefici sul sonno sono molto dubbi. L’efficacia della melatonina per l’insonnia è infatti molto modesta. Se i risultati dello studio americano venissero confermati da ricerche successive, il rapporto tra rischi e benefici penderebbe decisamente dalla parte dei rischi.

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IL PARERE DELL'ESPERTO
Daniele Caldara - Biotecnologo medico
In attesa di conferme, i risultati del congresso dei cardiologi americani non vanno interpretati come una condanna definitiva, ma come un segnale d’allarme. Finché non saranno pubblicati gli studi completi, la prudenza è d’obbligo: l’uso prolungato di melatonina non può essere considerato privo di rischi, e andrebbe sempre valutato con il medico, soprattutto nei soggetti con problemi cardiaci o in trattamento con altri farmaci.