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Ipotesi taglio delle tasse: ecco quanto rimane in busta paga e chi ci guadagna

Abbiamo fatto i calcoli per vedere quanto rimarrebbe in più sul cedolino se andasse in porto l'ipotesi di tagliare dal 35 al 33% l'Irpef per i redditi medi (fino a 60 mila euro): si va dai 1.400 euro di chi guadagna oltre 55 mila euro lordi, ai 140 euro di chi ne guadagna 35 mila, fino ai 40 euro all'anno per gli stipendi da 30 mila euro: praticamente 1 caffè a settimana.

Con il contributo esperto di:
articolo di:
15 settembre 2025
tax e lama di coltello

L’autunno porta con sé le prime dichiarazioni sulla manovra di Bilancio che dovrà esser approvata dal Governo entro il 31 dicembre. Una delle proposte che sta prendendo piede è quella di modificare le aliquote Irpef, che si usano per calcolare le tasse sul reddito, riducendo di 2 punti percentuali quella che attualmente colpisce con l’aliquota del 35% i redditi compresi tra 28 mila euro e 50 mila euro. Vediamo quindi di capire cosa succederebbe al reddito degli italiani.

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Come potrebbe cambiare l’Irpef

Le aliquote Irpef sono da sempre nel mirino dell’attuale Governo che già nel 2024 aveva unificato il primo e il secondo scaglione Irpef, ampliando la platea di chi paga l’aliquota minima del 23%. Ora si vorrebbe intervenire sulla seconda aliquota per garantire un aumento del reddito netto disponibile al così detto ceto medio.

Vediamo quindi nella tabella quale sia stata l’evoluzione dal 2023 e come potrebbe cambiare nel 2026.

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Quanto vale la riduzione dal 35% al 33%

Diciamo innanzitutto che stiamo facendo ipotesi sulla base delle dichiarazioni del Governo, quindi, non possiamo sapere se oltre alla modifica degli scaglioni di reddito ci sia l’intenzione di rivedere anche le detrazioni da lavoro o da pensione.

Per questo motivo possiamo dire che, considerando esclusivamente la variazione dell’Irpef avremo:

  • fino a 28 mila euro nessun effetto, questi contribuenti hanno già beneficiato della riforma Irpef del 2024;
  • tra 28 mila e 50 mila euro una riduzione di due punti percentuali per la parte eccedente i 28.000;
  • tra 50 mila e 60 mila euro una riduzione di 10 punti percentuali calcolata per la parte eccedente i 50 mila euro, che sfrutta anche la riduzione del punto precedente, portando il beneficio al 12% in meno di imposte, pari al massimo a 1.440 euro in meno di Irpef all’anno;
  • Oltre 60 mila euro il risparmio si blocca a 1.440 euro generati dalla riduzione delle aliquote dello scaglione precedente, perché oltre questa soglia l’Irpef rimane al 43%.

In particolare, vediamo gli effetti sui redditi:

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Cosa cambia tra dipendenti pensionati

Le modifiche alle aliquote Irpef influenzano direttamente sia i lavoratori dipendenti che i pensionati, ma per i dipendenti bisogna fare dei ragionamenti ulteriori a causa del taglio del cuneo fiscale che ha cambiato veste a partire dal 2025. Infatti, fino al 2024 il cuneo fiscale veniva neutralizzato per i lavoratori dipendenti grazie a una riduzione dei contributi previdenziali, per redditi fino a 25 mila euro, nel 2025 questa agevolazione è stata sostituita da una detrazione aggiuntiva, che in alcuni casi ha comportato una diminuzione dello stipendio per i redditi più bassi.

I pensionati non applicano il taglio del cuneo fiscale, di conseguenza l’effetto è solo quello della riduzione delle aliquote.

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I redditi oltre i 60 mila euro devono restituire 1.440 euro?

Al momento, poiché ci stiamo basando sulle dichiarazioni del Governo, non possiamo dire con certezza cosa accadrà e se per chi supera i 60 mila euro è prevista una forma di restituzione del guadagno allo Stato.

Infatti, la riduzione dell’Irpef vorrebbe esser destinata al ceto medio, ma, a causa di come è strutturata la nostra imposizione fiscale, il beneficio massimo di 1.440 euro netti in più all’anno arriva a chi supera questa soglia di reddito.

Tuttavia, già nel 2024 è entrata in vigore la restituzione allo Stato di 260 euro tramite la dichiarazione dei redditi per chi guadagna più di 50 mila euro lordi all’anno ed è stato agevolato dal taglio dell’Irpef del 2024 (il primo e il secondo scaglione di reddito sono stati uniti ed è stata così estesa l’aliquota minima del 23% fino a 28 mila euro di reddito lordo). Questa regola ha discriminato chi fa la dichiarazione e ha detrazioni da recuperare perché ha sostenuto spese durante l’anno, che è visto tagliare il rimborso cui avrebbe avuto diritto in favore di chi invece non doveva presentare la dichiarazione o non ha sostenuto spese quali assicurazioni sulla vita, mutuo, scuola, abbonamento ai mezzi pubblici. Inoltre, un qualsiasi nucleo famigliare in cui un solo percettore guadagna 50 mila euro ha dovuto restituire 260 euro contro lo stesso nucleo in cui in due guadagnano 25 mila euro e non solo hanno beneficiato del taglio delle aliquote ma non devono restituire nulla. Per giunta, non sappiamo se rimarrà in vigore anche la restituzione dei 260 euro.

 Con i nuovi scaglioni Irpef chi guadagna più di 60 mila euro potrebbe decidere di non fare la dichiarazione dei redditi. In questo modo non dovrebbe restituire 1.440 euro o, peggio ancora, si potrebbe avvalere di prestazioni e servizi senza richieder fattura.

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Gli altri tagli

Nel contesto di incertezza che abbiamo appena delineato rimangono comunque in vigore i tagli alle detrazioni previsti per i redditi che superano i 75 mila euro lordi annui.

In questo caso tramite degli indici prestabiliti che dipendono dal numero dei figli a carico si riduce il tetto massimo di spesa detraibile per il dichiarante in sede dichiarazione dei redditi. Questa ulteriore misura potrebbe sommarsi all’eventuale restituzione dei 1.440 euro rendendo totalmente inutile la dichiarazione dei redditi, se non addirittura sconveniente.

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Confusione e incertezza

L'ipotesi che sarà oggetto di discussione in vista della prossima manovra Finanziaria, e che abbasserebbe le aliquote Irpef anche per lavoratori e pensionati con redditi medi, presenta alcuni punti critici.  

  • La disparità di trattamento. Questo meccanismo, se applicato, perpetuerebbe la criticità in cui a parità di reddito, due persone potrebbero subire trattamenti differenti. Chi non ha spese detraibili (o le cui spese detraibili si salvano dal taglio) si terrebbe il beneficio, mentre chi sostiene spese detraibili (es. scuola dei figli, mutuo) vedrebbe il suo rimborso ridotto.
  • L’incentivo all'economia sommersa. La riduzione della convenienza nel portare spese in detrazione potrebbe spingere una parte dei pagamenti a ritornare nell'economia sommersa, con conseguente perdita di gettito per lo Stato.
  • Il cumulo dei tagli. Questo taglio si aggiungerebbe alla "sforbiciata" già prevista per i redditi oltre i 75 mila euro annui lordi, di conseguenza, i redditi più elevati sarebbero colpiti da più livelli di riduzione delle detrazioni.
  • L’incertezza del netto. La complessità delle regole applicative rende incerto l'effettivo beneficio netto sul reddito disponibile, rimandando alla dichiarazione dei redditi il conguaglio che potrebbe essere notevolmente ridotto.
  • La complessità e gestione. Il sistema fiscale italiano tende a diventare sempre più complesso con l'introduzione di meccanismi di "restituzione" o compensazione, rendendo difficile per il contribuente medio comprendere il proprio effettivo guadagno o perdita.
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IL PARERE DELL'ESPERTA
Tatiana Oneta - Fiscalista
L’eventuale riduzione dell’Irpef è una misura completamente condivisibile, soprattutto se mira a ridurre il carico fiscale del cosiddetto ceto medio. Tuttavia, l’affastellarsi di normative che con una mano erogano agevolazioni e con l’altra le riprendono, lascia piuttosto perplessi perché crea troppa confusione nel contribuente che non è in grado di sapere quanto davvero paga di tasse.