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Scritta "emissioni zero" in etichetta: non c'è da fidarsi e gli italiani ne sanno poco

Sui prodotti spopolano affermazioni di ogni tipo sulla riduzione dell'anidride carbonica ("carbon claim"). Ma spesso sono solo vaghi e infondati slogan per mostrarsi amici dell’ambiente e anche l'Ue sta decidendo di bandirli. Come capirne l'affidabilità? Cosa dovrebbero fare le aziende per ridurre davvero le emissioni? Abbiamo valutato le confezioni di alcuni prodotti per darti i nostri consigli e sondato la conoscenza dei cittadini:  il 59% si dichiara poco o per nulla informato su come i produttori possono ridurre gli inquinanti.

articolo di:
17 gennaio 2024
sacchetto di pasta con scritto CO2 e scatolame

"Emissioni zero”, “CO2 zero”, “Emissioni di CO2 e -70%” “Carbon neutral”: sono solo alcuni esempi dei cosiddetti “carbon claim”, sempre più presenti sulle etichette dei prodotti, alimentari in particolare. Ma quanto sono affidabili?

Nella nostra indagine completa pubblicata su Altroconsumo Inchieste abbiamo analizzato le etichette di alcuni alimenti (dal latte ai crackers, dall'acqua minerale ad alcuni surgelati).

LEGGI L'ANALISI DELLE ETICHETTE

Non è stato semplice neanche per gli esperti di ambiente di Altroconsumo comprendere la fondatezza di questi messaggi, figuriamoci quanto può esserlo per i consumatori che, infatti, ne sanno poco o niente: ce lo conferma anche la nostra ultima indagine statistica, di cui riportiamo i risultati più avanti (indagine svolta a maggio-giugno 2023 su un campione di 1.028 italiani distribuiti come la popolazione generale per età, 18-74 anni,, sesso, livello d’istruzione e area geografica).

Cosa sono i carbon claim?

I carbon claim sono quelle diciture con cui le aziende mettono in risalto il proprio impegno nella riduzione delle emissioni di anidride carbonica, una forma di comunicazione in crescita secondo l’Osservatorio Immagino: +13% nel 2022 rispetto al 2021 e + 23% rispetto al 2020 (tra i prodotti su cui è più diffusa: acqua minerale, gelato in vaschetta e caffè in capsule).

Peccato però che queste frasi - invece di descrivere un reale ed efficace impegno delle aziende nella riduzione delle emissioni - siano spesso solo vaghi e infondati slogan da “greenwashing”, utilizzati per mostrarsi amici dell’ambiente e attrarre così più acquirenti.

Che cos'è l'impronta di carbonio?  

Le emissioni di anidride carbonica causate dalle attività umane sono da tempo al centro dell’attenzione per via del riscaldamento globale e del cambiamento climatico: quando in eccesso, la CO2 comporta un aumento delle temperature dannoso ed è proprio uno dei gas che contribuisce maggiormente all’effetto serra, anche se non l’unico (c’è anche il metano, ad esempio): per questo si parla spesso di CO2 e, cioè equivalente, un’unità di misura che include, oltre alla CO2 anche gli altri gas serra opportunamente quantificati.

Si parla spesso anche di “carbon footprint” (impronta di carbonio), termine che indica proprio la quantità di gas serra che immettiamo nell’ambiente con le nostre attività e che rappresenta circa la metà di tutto il nostro impatto sul pianeta; per questo è uno degli indicatori più importanti per capire come raggiungere gli obiettivi ambientali voluti dall’Europa. Nella pratica la “carbon footprint” indica la quantità (in kg) di anidride carbonica emessa nell’atmosfera da un servizio, un’organizzazione o un prodotto, sia direttamente che indirettamente e in tutto il suo ciclo di vita.

Il settore alimentare è tra quelli più inquinanti da questo punto di vista e rappresenta ben il 37% delle emissioni di gas serra umane secondo l’Ipcc (il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico dell’Onu).

Gli italiani ne sanno poco

Secondo la nostra indagine, la maggioranza degli italiani (65%) pensa di essere ormai informato sull’impatto delle emissioni sul clima. D’altro canto - però - il 59% si dichiara poco o per nulla informato su come le aziende possono ridurle nella loro attività.

In molti non hanno idea del fatto che un prodotto “a emissioni zero” in realtà non viene definito così perché fatto senza emettere CO2, ma perché l’anidride carbonica emessa per produrlo viene poi “compensata” (o “mitigata”) dai produttori, attraverso investimenti in progetti green. Spesso si tratta di programmi di riforestazione: gli alberi, infatti, attraverso la fotosintesi clorofilliana assorbono anidride carbonica, immagazzinandola nel tronco e nelle radici, ma sono tanti gli aspetti da considerare per capire l’efficacia e l’impatto di questa attività (attori coinvolti, specie e luoghi scelti, cure e manutenzione negli anni a seguire).

In ogni caso, mitigare o compensare la CO2 piantando alberi non può essere un alibi per le aziende per non compiere le altre azioni davvero fondamentali per l’ambiente e il clima.

Misurare le emissioni, ridurle e poi mitigare

Il primo passo per essere davvero più sostenibili - prima di compensare le emissioni - dovrebbe essere ridurle a monte, nella produzione, migliorando i processi, passando a tecnologie più efficienti, riducendo i consumi, riprogettando il design dei prodotti, usando materie prime riciclate, allungandone la durabilità, lavorando sul trasporto e su imballaggi più efficienti, aumentando la quota di energie rinnovabili, tagliando l’impiego di fonti fossili, ecc.

Per fare tutto questo, è necessario innanzitutto che l’azienda misuri puntualmente le proprie emissioni con un metodo scientifico riconosciuto da standard internazionali; e poi, da lì, partire per ridurre tutto il possibile e, infine, compensare quello che non si riesce a tagliare. Oggi, invece, capita spesso che si usino i claim “carbon neutral” solo perché si hanno progetti di compensazione, ma questo non significa che il prodotto è stato fatto senza emettere CO2.

Ma, come sostiene anche il Beuc (organizzazione di consumatori europei di cui siamo parte), affermare che un prodotto è a “emissioni zero” o simili è scientificamente scorretto ed è ingannevole per i consumatori. Anche l’Ue è in dirittura d'arrivo con la direttiva sui "green claim" contro il bombardamento di messaggi pubblicitari green inconsistenti e, oltre a stoppare frasi generiche come “amico dell’ambiente” o “ecologico”, intende bandire proprio le affermazioni sulla CO2.

Cosa valutare in etichetta?

Non è facile orientarsi tra mille programmi, annunci, etichette “green” dalla dubbia fondatezza. Un primo consiglio è quello di fare attenzione alla completezza delle informazioni e porsi delle domande: le diciture sono generiche e vaghe oppure riportano dettagli, come le percentuali di riduzione delle emissioni? Si spiega anche come sono state ottenute queste riduzioni di CO2 e rispetto a cosa? Si capisce se la frase si riferisce al prodotto, all’imballaggio o all’azienda? Sono disponibili online report con programmi, obiettivi raggiunti e futuri? Ci sono reali progetti ambientali nell’azienda e nel territorio in cui opera oppure si tratta solo di intenzioni? È solo un’autodichiarazione o ci si appoggia a protocolli standard con verifiche di enti terzi?

Sono domande a cui non è facile e rapido rispondere, ma che è giusto porsi: nelle nostre analisi delle etichette facciamo vedere alcuni esempi delle valutazioni che si possono fare sulle informazioni in etichetta (abbiamo verificato anche quello che le varie aziende riportano rispetto all’argomento sui loro siti).

Come ridurre le proprie emissioni?

Intanto, per ridurre le emissioni di gas serra dei nostri consumialimentari in modo efficace, possiamo cambiare qualche abitudine: ad esempio, ridurre il consumo di carne rossa (una delle industrie più inquinanti); non sprecare, pianificando bene i pasti e conservando adeguatamente; prediligere frutta e verdura di stagione e non prodotti in serra, un metodo di produzione che emette più CO2 delle normali coltivazioni. 

Leggi i nostri consigli per sapere come ridurre le emissioni anche in altri ambiti della tua vita quotidiana.