Mitigazione e riduzione delle emissioni. Qual è il ruolo delle aziende e cosa possiamo fare noi
Per raggiungere gli obiettivi climatici e contenere l'aumento delle temperature, sarà necessario un taglio drastico delle emissioni di CO2, grazie anche agli impegni delle aziende. Ma il rischio greenwashing è dietro l'angolo.
- di
- Rudi Bressa

Green, sostenibile, net zero, neutralità carbonica. Sono termini che si vedono e sentono sempre più spesso: nei prodotti che acquistiamo, negli obiettivi delle aziende, nelle politiche europee. In tutti queste parole esiste però un sotteso, che non sempre viene specificato, ovvero la mitigazione degli effetti della crisi climatica. Ma cosa significa? La mitigazione fa parte delle due strategie per contrastare il cambiamento climatico, insieme all'adattamento, e nello specifico si riferisce a tutte quelle azioni volte a ridurre o prevenire le emissioni dei gas a effetto serra (GHG), principalmente CO2 (anidride carbonica) e CH4 (metano).
Cosa significa mitigazione
La mitigazione si ottiene riducendo le fonti di questi gas, aumentando ad esempio la quota di energie rinnovabili e tagliando l'impiego di fonti fossili, istituendo un sistema di mobilità più pulito, o ad esempio conservando o aumentando le dimensioni delle foreste, che naturalmente assorbono anidride carbonica. O ancora lavorando sull'efficienza dei nostri elettrodomestici, fino alle modifiche dei comportamenti di ognuno di noi. Insomma, la parola d'ordine è ridurre la produzione di CO2 attraverso un ventaglio di azioni che coinvolgono tutti i settori della società e dell'economia. Per questo motivo moltissime aziende, anche le più grandi, stanno aumentando la quota di energia rinnovabile impiegata per produrre beni e servizi. Pensate ad esempio alle vostre email o al prossimo video in streaming su una delle tante piattaforme: anche in questo caso serve energia, moltissima energia, e se prodotta a partire da fonti rinnovabili, le emissioni di ogni operazione (ogni click, ogni invio) si riducono. Da poco Google ha ad esempio annunciato di voler alimentare tutte le proprie operazioni con energia rinnovabile, sia acquistando energia da fonti certificate, sia investendo direttamente nell'installazione di nuova capacità. Recentemente ha assunto l'impegno di impiegare energia che non genera alcuna emissione durante il processo di produzione, fornitura o funzionamento, entro il 2030. O pensiamo al gigante del food and beverage Nestlé che con il Global reforestation program si è impegnata a ripristinare e coltivare 200 milioni di alberi entro il 2030 nelle aree di approvvigionamento delle materie prime, monitorando i passi del progetto via satellite, così da ridurre il proprio impatto ambientale.
Quali sono gli obiettivi della mitigazione
Tutte queste azioni e politiche servirebbero per contrastare e ridurre l'aumento delle temperature a livello globale. Dall'inizio della rivoluzione industriale in poi infatti, le attività umane hanno immesso in atmosfera una quantità tale di gas serra in un periodo di tempo relativamente breve (qualche secolo rispetto alle migliaia di anni che occorrono nei cicli naturali), modificando il clima del pianeta. Gli scienziati da tempo hanno stabilito degli obiettivi sul breve e lungo periodo, e così la politica internazionale, che ci permetterebbero di mantenere stabile il sistema climatico, riducendo gli effetti più gravi – come le ondate di calore, le alluvioni, lo scioglimento dei ghiacci -, e consentendoci di prosperare senza dover per questo tornare all'età della pietra (come paventato da alcuni).
A che punto siamo adesso
Certo non tutte le dichiarazioni o i progetti di riduzione delle emissioni funzionano. Ci sono settori, come quello della produzione di energia da fonti fossili, del cemento, dell'acciaio, dove è e sarà difficile intervenire. In tutti gli altri si sono intraprese già da tempo azioni per avvicinarsi il più possibile alle emissioni zero. Che significa? Significa che ogni prodotto, bene o servizio dovrebbe essere progettato, prodotto e fornito riducendo il più possibile l'impatto climatico, per poi compensare la parte rimanente. Ciò può avvenire per le aziende più inquinanti acquistando ad esempio della “quote di carbonio” su mercati creati appositamente. Pensate alla produzione di una confezione di biscotti: come si riducono le emissioni? Si parte dalle materie prime, che potrebbero essere coltivate e lavorate in aziende agricole che impiegano energia rinnovabile, almeno in parte. Gli stabilimenti di lavorazione e confezionamento possono recuperare il calore dei macchinari, impiegandolo per produrre l'energia elettrica. Dopodiché tutta la logistica può essere ripensata per ottimizzare i trasporti (che puntano ad essere elettrificati), in modo tale da sprecare meno carburante e ottimizzare i consumi. Un esempio? A Faenza, tristemente nota per l'ultima alluvione, il gruppo Caviro, storica azienda del settore vitivinicolo, riesce a recuperare più del 90 per cento degli scarti di lavorazione del vino che utilizza per produrre energia (principalmente biogas) e sottoprodotti (alcol) che vengono impiegati in moltissimi altri settori, dall'agroalimentare al farmaceutico. Non solo vino, ma una sorta di ciclo chiuso che non spreca quasi nulla.
Il rischio greenwashing
Certo il rischio di annunciare grandi piani di mitigazione solo per dipingersi di “verde” è dietro l'angolo. Prima di dichiararsi tale infatti un'azienda o una grossa compagnia dovrebbe prima di tutto misurare puntualmente il proprio impatto. Da lì partire per ridurre tutto il possibile. Oggi invece capita spesso che sentiamo il claim “carbon neutral” (neutralità carbonica), ovvero la volontà di continuare sullo stesso percorso, vantando grandi progetti detti di compensazione, ad esempio piantando milioni di alberi nelle aree tropicali o deforestate. Ecco in questo caso sono molti i dubbi che si pongono: nei progetti di riforestazione infatti è fondamentale capire tutti gli attori coinvolti, le specie scelte, i luoghi in cui gli alberi saranno messi a dimora e soprattutto le cure e la manutenzione negli anni. Per molte associazioni ambientaliste i progetti di riforestazione spesso nascondono la mancanza di veri progetti di riduzione delle emissioni. Cioè è una facciata per continuare col cosiddetto business as usual: continuo a produrre emissioni, poi in futuro, si vedrà. Esistono poi veri e propri casi in cui è palese, e per questo è stato multato dalle autorità, la volontà di fare greenwashing: pensiamo al “carburante pulito” o al “volare responsabile”: il solo settore dell'aviazione civile produce il 2,5 per cento di tutte le emissioni di CO2
Come può difendersi il consumatore
Certo non è facile orientarsi tra mille programmi e annunci, etichette (spesso non certificate da alcun ente), o prodotti “green”. Un consiglio potrebbe essere quello di guardare alla trasparenza del gruppo o dell'azienda: rendono pubblici i propri programmi? Rendicontano gli obiettivi raggiunti e quelli invece più lontani? Investono nell'estrazione e lavorazione dei combustibili fossili o hanno legami con quel settore? Hanno reali progetti, sia in azienda che nel territorio in cui operano, di riduzione degli impatti delle proprie attività? Li fanno certificare da enti terzi indipendenti? Hanno delle attività sia interne che esterne di recupero delle materie prime e di promozione di una progettazione più attenta al riciclo e alla riduzione dei materiali di origine fossile? Sono domande non facili a cui rispondere, ma che è giusto porsi e, spesso, già andando a spulciare nei siti aziendali si riesce a capire quanto veritiere o meno siano certe informazioni. Ecco di fronte alla parola “neutrale”, “emissioni zero” o l'etichetta più vaga “sostenibile” si possono celare molti inganni. E il consumatore spesso rimane disorientato. Ha senso parlare di neutralità o mitigazione quando quel prodotto è stato realizzato a migliaia di chilometri di distanza in un paese che funziona a carbone (come in Asia)? D'altro canto è anche vero che ormai la strada sembra essere segnata, dato che ridurre il proprio impatto, ambientale e climatico, ha un ritorno economico, non solo d'immagine.
Cosa possiamo fare noi per la mitigazione
Ovviamente anche i cittadini hanno l'opportunità di partecipare attivamente alla riduzione delle emissioni con comportamenti più consapevoli e attivi. Certamente scegliere e supportare quelle aziende o servizi che certificano il loro impegno è un primo passo. Ma sono decine e decine le azioni che possiamo mettere in pratica quotidianamente, senza per questo stravolgere la nostra vita, ma scegliendo secondo coscienza. A seconda delle possibilità possiamo ad esempio scegliere se produrre la nostra elettricità da fonti rinnovabili, installando ad esempio un impianto fotovoltaico, o ridurre drasticamente i consumi domestici grazie ad un impianto a pompa di calore (molto più efficiente rispetto alle normali caldaie). In alternativa possiamo scegliere un operatore energetico che certifichi che l'elettricità acquistata provenga da sole rinnovabili, o ancora entrare a far parte di una cooperativa energetica, partecipando attivamente alla crescita della quota di energia a basso impatto sul territorio nazionale.
In casa possiamo lavorare molto sull'efficienza energetica, senza rinunciare all'uso degli elettrodomestici: scegliere prodotti ad alta efficienza, siano questi una lavastoviglie o una lampada a basso consumo. Per chi può, può pensare a coibentare la propria abitazione: questo permetterà di abbassare i consumi energetici sia d'estate che d'inverno. Molto poi passa dalle nostre pratiche di consumo: atteggiamenti più sobri su alimentari, vestiario, prodotti di vario genere dovrebbero rispondere alla domanda “mi serve davvero o posso farne a meno?”. C'è poi tutta la questione della mobilità: per chi può scegliere i mezzi pubblici piuttosto che l'auto privata rimane una delle azioni migliori, mentre potremmo valutare sotto una certa percorrenza (che può andare dai 3 ai 10 km a seconda del nostro stato di salute e preparazione), di optare per la bici. Ci sono poi azioni capaci di dirottare gli investimenti verso una finanza sostenibile, ad esempio chiedendo che i propri contributi pensionistici non siano investiti in fondi legati all'estrazione delle fossili, o ancora investire in aziende impegnate nello sviluppo delle rinnovabili o dell'efficienza energetica. Questa è solo una brevissima lista di molti dei comportamenti che possono influenzare in maniera positiva il nostro impatto, senza per questo sentirci eccessivamente in colpa per la situazione globale in cui ci si trova.
La differenza tra “zero emission” e “net zero emission”
Non sembra ma la differenza è sostanziale. Le “emissioni zero” o neutralità carbonica si hanno nel momento in cui in tutti i passaggi che coinvolgono la produzione di un bene o un servizio, si riducono quasi a zero le emissioni. Come? Impiegando energie rinnovabili o a bassa intensità d carbonio (come il nucleare), riducendo gli sprechi energetici e di materiale lungo tutta la filiera, lavorando sul trasporto e su imballaggi più efficienti. Ciò che non si riuscirà a ridurre, si potrà compensare attraverso azioni pratiche (come la messa a dimora di nuovi boschi o foreste attentamente gestiti) o acquistando delle quote di carbonio.
Per “emissioni nette zero” invece si intendono tutte quelle politiche di lungo termine in cui si sono impegnati i vari paesi da qui al 2050: a quel punto le emissioni di carbonio dovrebbero essere state ridotte più del 90 per cento (avvicinandosi quindi alle emissioni zero) e il restante compensato attraverso lo sfruttamento dei sistemi naturali (che assorbono CO2) o rimuovendole direttamente dall'atmosfera con tecnologie che sono ancora in fase di studio.
Rudi Bressa
Giornalista ambientale e scientifico, si occupa di cambiamenti climatici, transizione energetica, economia circolare e conservazione della natura.