Hamburger, carpacci e bresaola: da dove arriva la carne?
Sull’etichettatura d’origine delle carne esistono tante zone grigie, che i produttori hanno imparato a sfruttare con astuzia. Basta l’aggiunta di sale o una marinatura per sottrarsi all’obbligo di dichiarare la provenienza della carne.
- di
- Matteo Metta

Sull’etichetta dobbiamo trovare riportata l’origine della carne? Purtroppo, la risposta a questa domanda non è un «sì» pieno, come tutti vorrebbero, ma un «dipende». E questo perché prima di stabilirlo bisogna rispondere ad altre domande, la prima delle quali è: di quale animale stiamo parlando? E poi: sotto quale forma la carne è venduta? A seconda che si tratti di carne fresca, di preparazione di carne (hamburger, salsiccia...) o di carne processata (salame, mortadella, prosciutto...) le regole cambiano. Si tratta di differenziazioni di cui non si capiscono davvero le ragioni e che si possono spiegare solo con il fatto che le leggi che disciplinano la materia sono nate in momenti diversi e sono figlie dei vari scandali succedutisi nel tempo, dalla mucca pazza all'influenza aviaria. Inoltre, bisogna incrociare regolamenti europee con norme italiane. Tutto questo fa sì che il dovere di dichiarare in etichetta l’origine della carne sia un obbligo dalle molteplici sfumature. Per semplificare, al momento esistono nell’ordine:
- carni per cui non è prevista alcuna etichettatura di origine, ad esempio la carne equina e la carne di coniglio;
- carni per cui è prevista l’indicazione della provenienza solo nella versione carne fresca: sono le carni bovine, quelle di pollo e quelle di capra, di pecora e di agnello;
- carni per cui l’origine deve essere sempre indicata in etichetta, in qualunque forma si presentino: è il caso - per ora unico - delle carni suine.
La nostra inchiesta
Orientarsi in questo ginepraio è tutt’altro che semplice. L’ideale per i consumatori sarebbe avere per tutte le carni lo stesso livello di trasparenza. La Commissione europea ha intenzione di estendere l’etichettatura d’origine a tutti i prodotti contenenti carne, ma prima di allora nulla vieta ai produttori di essere trasparenti sulla sua provenienza anche nei casi in cui non sono obbligati a farlo. Ma, teoria a parte, cosa si trova nei banchi del supermercato? Per capirlo abbiamo realizzato, in collaborazione con la trasmissione di Rai3 Presa Diretta, un’inchiesta sulla carne bovina. Abbiamo visitato a Milano i punti vendita di otto insegne della grande distribuzione: Esselunga, Coop, Carrefour, Conad, Natura Sì, Aldi, Eurospin e Lidl. Siamo partiti dagli hamburger. Su 31 confezioni individuate, quattro contengono hamburger fatti al 100% da carne bovina, ovvero carne macinata cui è stata data la forma dell’hamburger, senza alcun ingrediente aggiuntivo. Questi hamburger sono di fatto “carne fresca”, e pertanto sono vincolati per legge a riportare l’etichetta d’origine. Che infatti è presente su tutte e quattro le confezioni.
In otto punti vendita di altrettante catene della grande distribuzione, abbiamo esaminato le etichette di 76 prodotti in cui la carne è la principale materia prima. In questa galleria di immagini vi presentiamo alcuni esempi. Le norme sono rispettate, ma c’è chi offre ai consumatori una trasparenza maggiore di quella richiesta dalla legge.
CARNE FRESCA Ecco come deve presentarsi l’etichetta d’origine della carne bovina fresca. Devono essere specificati il paese di nascita dell’animale, il paese di allevamento, il paese di macellazione e il paese di sezionamento della carne.
LA FORMA DELL’HAMBURGER Le etichette delle preparazioni di carne bovina - tra cui sono gli hamburger - non hanno l’obbligo di indicare l’origine della carne. Perché qui la troviamo e pure dettagliata? Non per buona volontà del produttore, ma perché a ben guardare si tratta di semplice carne macinata, a forma di hamburger, senza aggiunta di sale né di altri condimenti. Quindi è di fatto carne fresca, e pertanto deve essere specificata l’origine.
NON C’È SOLO CARNE Un carpaccio senza etichetta di origine? Se fosse davvero così sarebbe fuorilegge. Qui invece le fettine sono state marinate e basta questo a decretare il passaggio di categoria: non più “carne fresca”, bensì “preparazione di carne”, quindi niente obbligo di dichiarare l’origine.
BENEMERITA TRASPARENZA Ecco un esempio che dimostra come i limiti delle leggi si possono superare con le buone pratiche. Sulle Girolle, in quanto preparazioni di carne, Esselunga avrebbe potuto non esplicitarne l’origine. Invece adotta lo stesso livello di dettaglio previsto dalla legge per la carne fresca. Lode alla trasparenza.
SENZA ORIGINE La bresaola è carne bovina processata e quindi non è tenuta a dichiarare l’origine. Obbligo che non è previsto nemmeno dal disciplinare della Bresaola della Valtellina Igp. A Rigamonti non si può rimproverare nulla...
CURIOSITÀ ...tuttavia sulla bresaola “semplice” (non Igp) lo stesso Rigamonti enfatizza con tanto di Stivale l’origine della carne: italiana al 100%. Perché? Se, infatti, nella Bresaola Igp a tenere alta la bandiera dell’italianità c’è il termine Valtellina (la carne potrebbe però essere straniera), qui invece si utilizza come elemento attrattivo l’origine completamente italiana della carne.

CARNE FRESCA Ecco come deve presentarsi l’etichetta d’origine della carne bovina fresca. Devono essere specificati il paese di nascita dell’animale, il paese di allevamento, il paese di macellazione e il paese di sezionamento della carne.

LA FORMA DELL’HAMBURGER Le etichette delle preparazioni di carne bovina - tra cui sono gli hamburger - non hanno l’obbligo di indicare l’origine della carne. Perché qui la troviamo e pure dettagliata? Non per buona volontà del produttore, ma perché a ben guardare si tratta di semplice carne macinata, a forma di hamburger, senza aggiunta di sale né di altri condimenti. Quindi è di fatto carne fresca, e pertanto deve essere specificata l’origine.

NON C’È SOLO CARNE Un carpaccio senza etichetta di origine? Se fosse davvero così sarebbe fuorilegge. Qui invece le fettine sono state marinate e basta questo a decretare il passaggio di categoria: non più “carne fresca”, bensì “preparazione di carne”, quindi niente obbligo di dichiarare l’origine.

BENEMERITA TRASPARENZA Ecco un esempio che dimostra come i limiti delle leggi si possono superare con le buone pratiche. Sulle Girolle, in quanto preparazioni di carne, Esselunga avrebbe potuto non esplicitarne l’origine. Invece adotta lo stesso livello di dettaglio previsto dalla legge per la carne fresca. Lode alla trasparenza.

SENZA ORIGINE La bresaola è carne bovina processata e quindi non è tenuta a dichiarare l’origine. Obbligo che non è previsto nemmeno dal disciplinare della Bresaola della Valtellina Igp. A Rigamonti non si può rimproverare nulla...

CURIOSITÀ ...tuttavia sulla bresaola “semplice” (non Igp) lo stesso Rigamonti enfatizza con tanto di Stivale l’origine della carne: italiana al 100%. Perché? Se, infatti, nella Bresaola Igp a tenere alta la bandiera dell’italianità c’è il termine Valtellina (la carne potrebbe però essere straniera), qui invece si utilizza come elemento attrattivo l’origine completamente italiana della carne.
Sotto il 99% di carne, l’obbligo salta
Basta poco però per sottrarsi a quest’obbligo. Anche un po’ di sale può far sì che il peso della carne scenda sotto il 99%, e così, per incanto, addio necessità di indicare l’origine. Infatti, quando l’hamburger contiene altri ingredienti (sale, additivi, aromi, fecola di patate...) che riducono il contenuto di carne – in un prodotto scende addirittura al 73% (leggete sempre gli ingredienti) –, si rientra nella categoria “preparazione di carne”. È il caso delle altre 27 confezioni di hamburger da noi esaminate. Non abbiamo riscontrato violazioni di legge, però le differenze dimostrano quanto possa essere difficile per il consumatore orientarsi.
- Su 18 vaschette non abbiamo trovato alcuna informazione relativa all’origine della carne bovina utilizzata. Ci si limita a rispettare la legge senza fare alcuno sforzo di trasparenza.
- Su 6 vaschette, questo sforzo è soltanto apparente. Troviamo l’origine indicata in modo generico: «100% carne italiana» o «100% carne da allevamenti italiani» o formule simili. Che cosa ciò voglia dire non è dato sapere. Dove sono nati gli animali? Hanno trascorso in un allevamento italiano tutta la loro vita o soltanto l’ultimo periodo?
- Su 3 vaschette la trasparenza assume il carattere dell’impegno vero. Si tratta degli hamburger classici Esselunga, degli hamburger con Chianina di Terre d’Italia e dei Burger Chianina de Il Podere (Aldi). Le informazioni sono lodevolmente riportate nella forma più completa, quella prevista obbligatoriamente solo per la carne bovina fresca. Figurano infatti i paesi in cui l’animale è nato, allevato, macellato e sezionato.
Oltre che sugli hamburger, abbiamo voluto vederci chiaro sui tagli di carne “conditi”, tipo tartare e carpacci. Basta infatti una marinatura o un po’ di sale a far passare il prodotto da carne fresca a preparazione di carne (quantità di carne inferiore al 99%), e quindi non soggetta all’obbligo di indicare l’origine. Qui le cose vanno meglio: su 22 prodotti troviamo l’etichetta d’origine dettagliata nel 50% dei casi.
Bresaola: distinguere la qualità dall’origine
E per le carni bovine processate, tipo la bresaola? Anche stavolta nessun obbligo di etichetta d’origine, neppure per la Bresaola della Valtellina Igp. Infatti, “Indicazione geografica protetta” è un marchio che non dà alcuna garanzia che la materia prima sia strettamente legata al territorio, ma solo sul fatto che le lavorazioni avvengano in un’area geografica definita. A conferma di questo, il Consorzio della Bresaola della Valtellina, da noi interpellato, ci ha risposto che la versione Igp è quasi interamente prodotta con carne che arriva dall’estero (70% Sudamerica, 30% Europa). Scelta obbligata, non legata a motivi economici: «In Italia non c’è una disponibilità di bovini capace di soddisfare contemporaneamente le esigenze di qualità e di quantità di produzione della Bresaola della Valtellina Igp» ci fa sapere il Consorzio. Che sottolinea: «La scelta delle carni è determinata unicamente da un preciso orientamento alla qualità». Sta di fatto che per il consumatore conoscere da dove arriva la materia prima della bresaola resta difficile: dei 23 prodotti che abbiamo acquistato nei supermercati, solo quattro riportano (volontariamente) l’origine: tre di questi sono prodotti non Igp e uno solo è Igp.
Il nostro manifesto "L'etichetta che vorrei"
Questa inchiesta segue quella sulle etichette alimentari fuorvianti, in cui abbiamo smascherato piccole e grandi scorrettezze messe in atto con slogan e immagini sulle confezioni. Alle aziende proponiamo un patto di fiducia reciproca, perché se nell’immediatezza dell’acquisto possono anche funzionare certe forzature, alla lunga sono la qualità del prodotto e la fiducia nel produttore che vengono ricordati e premiati dai consumatori. Lo facciamo attraverso "L’etichetta che vorrei", un manifesto in sette punti, che altro non sono che sette auree regolette. Nel complesso il manifesto disegna l’etichetta ideale secondo Altroconsumo, un’etichetta nella quale non hanno diritto di cittadinanza le manipolazioni linguistiche, i trucchetti, le bugie e le mezze verità.