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Dissesto idrogeologico: un problema che viene da lontano. L'intervista con l'esperto

L’Italia è a rischio, per il tipo di territorio, il folle consumo di suolo e per gli effetti del cambiamento climatico. Eppure si interviene sempre in emergenza. Cosa si sta facendo nel nostro Paese? Quali le soluzioni e come difenderci e prevenire come cittadini? Ne parliamo con gli esperti dell'Irpi-Cnr.

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17 maggio 2024
Alluvione soccorsi

 Lo sappiamo da tempo: il nostro territorio è particolarmente soggetto al dissesto, per la sua natura e per il suo essere fortemente cementificato. Nel frattempo, è arrivato il cambiamento climatico a incidere. E, così, succede che i territori più fragili e costruiti non riescano a contenere le piogge intense di questi tempi, con le perdite che tutti conosciamo in termini di vite umane e danni.

Ma, anche se è così che è sempre stato trattato, il dissesto idrogeologico non è un’emergenza: abbiamo degli strumenti per conoscerlo, e ne servono di più, per essere pronti a proteggerci e a prevenire, come Paese e come cittadini. Ne parliamo con Mauro Rossi, Primo ricercatore dell’Irpi- Cnr, l’Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica del Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Cosa si intende per dissesto idrogeologico?

"Quando si parla di dissesto si fa riferimento a frane, di diversi tipi, erosione dei versanti - colline, montagne e coste - e alluvioni nelle aree fluviali", spiega l’esperto specificando che questi eventi non sono sconnessi, anzi: quello che succede sui pendii condiziona ciò che accade al livello dei fiumi, con effetti molto diversi.

Alcune frane, quelle che si muovono velocemente, sono molto pericolose per l’uomo, altre lo sono meno, ma possono essere deleterie per strade e case, anche nel corso degli anni. "La prima cosa da capire è che la superficie terrestre è continuamente rimodellata - aggiunge - e i fenomeni idrogeologici sono naturali. Ma bisogna sapere dove possono avvenire e costruire e comportarsi in modo da minimizzare il rischio".

Quali sono le cause?

È la pioggia a innescare il dissesto: se, infiltrandosi, riesce a riempire tutti gli spazi che ci sono nel suolo, si creano le condizioni per una frana. Così come se, data una parziale saturazione del suolo, scorre in abbondanza in superficie trasportando i materiali sui versanti (rocce, vegetazione ecc).

Oltre all’“innesco” ci sono poi fattori che ci predispongono al dissesto, come le caratteristiche del nostro territorio: "Il settore dell’Appenino colpito dall’alluvione dell’Emilia Romagna ad esempio - prosegue Rossi - è dominato da rocce argillose e da alternanze di sabbie e argille, che sono molto favorevoli al dissesto. Ma in generale tutte le regioni con versanti, lungo gli Appennini e gran parte delle Alpi, o anche lungo le colline, sono soggette".

E, dai numeri, è evidente come siano poche le aree esenti dai rischi: secondo l'Ispra (Istituto Superiore per la Ricerca e la Protezione ambientale) il 94% dei comuni italiani (7.423) è a rischio frane e alluvioni e o erosione costiera; a maggiore pericolosità il 18% del territorio. E sono 8,1 milioni gli abitanti a rischio frane (1,3 milioni) e alluvioni (6,8 milioni): in primis in Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia e Liguria.

L’altro fattore che predispone al dissesto, oltre alle caratteristiche del territorio, è il consumo di suolo. L’uomo, in particolare nel nostro Paese, ha sempre modificato tanto il territorio per i suoi usi: tagliando la vegetazione, costruendo e cambiando la copertura di suolo e pendii. Ma eliminando le piante - che sono disegnate dalla natura per raccogliere acqua e che con le loro radici trattengono i terreni - si modifica inevitabilmente il modo in cui suolo e acqua si comportano. Così come, asfaltando e costruendo, si sigilla il terreno rendendolo impermeabile; e questo implicherà che l’acqua defluirà in superficie invece di infiltrarsi, con ricadute sui fiumi.

In Italia, in particolare dopo gli anni ‘50, c’è stato un grande sviluppo delle città. Si è costruito sempre più sulle colline, dove le frane sono possibili, e nelle aree dove i fiumi hanno la loro vita, perché l’acqua serve alle attività produttive. "Abbiamo confinato questi elementi naturali in uno spazio che non era il loro, che poi si riprendono", aggiunge l’esperto.

E, ancora oggi, il consumo di suolo accelera invece di rallentare: già nel 2021, le nuove costruzioni hanno riguardato altri 70 chilometri quadrati (2,2 metri quadrati costruiti al secondo), il valore più alto degli ultimi dieci anni (Rapporto sul consumo di suolo Snpa - Sistema Nazionale per la Protezione dell'Ambiente 2022); e anche nel 2022 abbiamo ulteriormente aumentato, arrivando alla velocità di 2,4 metri quadrati al secondo e avanzando, in soli dodici mesi, di altri 77 chilometri quadrati, oltre il 10% in più rispetto al 2021 (Rapporto Snpa 2023).

"L’errore è stato considerare i fenomeni idrogeologici stabili, avendo la presunzione di riuscire a controllarli: ma un fiume ha una sua vita, cambia - commenta Mauro Rossi - Prendiamo il caso di Genova, dove lo stadio è costruito sopra il Bisagno; poi però succedono eventi come quello del 2011, in cui l’intera area è andata sott’acqua. Non tutto ha funzionato, anche perché certe cose che pensavamo non potessero accadere, come piogge così intense, ora accadono. E le nostre strutture non sono costruite per resistere a tutto, ma solo a una certa quantità di acqua. E quel livello ora è superato".

Come incide il cambiamento climatico?

"Suolo, vegetazione e clima sono un equilibrio - spiega Mauro Rossi - e se cambia uno di questi elementi, come ora il clima, cambiano anche gli altri e i processi che lì avvengono". E, quindi, anche la predisposizione al dissesto.

Con l'innalzamento delle temperature - quella passata è stata l’estate più calda mai registrata a livello globale – succede che, da un lato, cambiano le precipitazioni: se prima pioveva in modo più contenuto e distribuito nel tempo, ora piove tanto nell’arco di poco tempo. "È chiaro che questo modificherà in prima istanza il suolo, riducendo la sua capacità di assorbire; modificherà, quindi, il comportamento dell’acqua quando piove e, di conseguenza, la possibilità di frane".

Precipitazioni più sporadiche ma molto intense non significano, però, abbondanza di acqua: anzi, l’altra faccia della medaglia delle temperature elevate è la crisi idrica in cui ci troviamo (tutti ricordiamo le recenti immagini del Po senz’acqua), che incide sul dissesto: "Se il suolo è secco, la prima a soffrirne è la vegetazione, fondamentale per i processi di dissesto come dicevamo - spiega Mauro Rossi - . Ma non solo: quando fa molto caldo e manca l’acqua, il suolo ha delle fessure, che possono essere profonde anche qualche metro. Se c’è una pioggia sui pendii si infiltra molto meglio e quindi certi tipi di frane avvengono maggiormente. Dall’altro lato, la siccità può generare un effetto sigillatura del suolo, che diventa più impermeabile: in questo caso si crea tanto deflusso di acqua in superficie e quindi c’è il rischio alluvione".

Cosa si sta facendo in Italia contro i rischi?

Visto che il rischio idrogeologico è così esteso e noto - e in più aggravato dall’attuale contesto - cosa stiamo facendo per proteggerci e prevenire? Secondo i dati Ispra (ReNDiS) del 2020, in vent’anni, sono stati stanziati quasi 7 miliardi di euro per far fronte al dissesto, per oltre 6 mila progetti; ma le richieste di finanziamenti delle Regioni per la messa in sicurezza del territorio erano ben più alte già ai tempi dell’analisi, tre anni fa: 26 miliardi di euro.

Anche il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) prevede fondi per il ripristino dei danni e la prevenzione, con lo scopo di “mettere in sicurezza 1,5 milioni di cittadini” entro il 2026: 2,49 miliardi di euro che il governo ha chiesto di ridurre a circa 1,3 perché sono emerse “criticità rilevanti” nel rispetto dei tempi e delle condizioni previste; la promessa, però, è che tutti i progetti, per lo più già in essere, verranno portati a termine con altri fondi.

La Corte dei Conti, in un'analisi sullo stato di attuazione del Piano di febbraio, aveva già avvertito in realtà della necessità di superare i problemi amministrativi e di rendicontazione, piuttosto rigidi nel piano, in modo da concentrarsi sugli obiettivi. Ma evidentemente non si è riusciti. E la Corte, su questo tema, pare destinata ad avvertimenti inascoltati: basta vedere le relazioni degli ultimi anni sulla gestione dei vari piani e fondi che si sono susseguiti, fino al recente “ProteggItalia” (del 2019, analizzato nel 2021), per rendersi subito conto che i problemi evidenziati sono sempre gli stessi, criticità “rimaste insolute”: nel funzionamento e monitoraggio degli interventi, nei processi decisionali e operativi tra strutture nazionali e locali, nelle capacità di spesa e realizzazione dei progetti, nella natura “prevalentemente emergenziale degli interventi”.

Sul dissesto, invece, "serve un ragionamento almeno nel medio termine, parliamo di fenomeni che si sviluppano anche nell’arco di decenni - spiega Mauro Rossi dell’Irpi-Cnr -. Ma al momento in Italia non si sta facendo nulla: siamo soliti fare le leggi e poi non dare le coperture finanziarie. Eppure siamo i primi a esserci dotati di una norma, dopo l’alluvione di Sarno del ‘98, per le mappature del dissesto, non sempre tenute in considerazione e migliorabili, ma abbiamo prodotti da cui partire. Non c’è stata l’attenzione di continuare a investire in modo coerente. Gran parte dei Comuni non ha neanche un geologo o un naturalista".

Cosa si dovrebbe fare? Quali soluzioni?

"Innanzitutto bisogna avere le competenze necessarie", dice l’esperto, secondo il quale servirebbe investire in ulteriore conoscenza da poi usare per pianificare e costruire dove il dissesto è meno probabile. Ma non solo: usare tecniche costruttive che facilitino la permeabilità del suolo, fare manutenzione delle strutture, ricontrollare il costruito e adeguarlo al nuovo contesto climatico; e, soprattutto, non cercare di imporsi sui processi naturali, ma rispettarli, favorire la rivegetazione, dare spazio ai fiumi, spostare delle aree dove possibile. "Serve una grande politica di gestione integrata del territorio - conclude - che non sia fatta di facili soluzioni per la contingenza locale, ma che tenga in considerazione tutti gli elementi naturali di pertinenza di un’area".

Sono molte, quindi, le cose che si possono fare, ma bisogna innazitutto uscire dalla logica dell’emergenza, per entrare in quella della prevenzione e dell’adattamento, nel concreto e non solo nelle intenzioni: devono farlo le istituzioni, e possiamo farlo anche noi.

Cosa possiamo fare noi cittadini?

Quando si parla di dissesto idrogeologico è facile pensare di non poter fare molto. Ma ci sono attenzioni, anche semplici, che possono avere impatto, nell’auto-protezione e nella prevenzione

Per proteggerci

Durante le emergenze bisogna sapere esattamente cosa fare e cosa non fare, senza perdere tempo. "Le azioni giuste dovrebbero diventare degli automatismi perché ragionare in condizioni di emergenza è difficile. Per questo servirebbe formazione", dice Mauro Rossi di Irpi-Cnr.

In caso di alluvione bisogna spostarsi ai piani superiori, disattivare l’impianto elettrico e il gas e, nel caso di possibili frane, spostarsi nelle parti della casa opposte a colline e montagne; non scendere nei garage e nei seminterrati per mettere al sicuro auto e altri beni; se si è all’aperto, evitare sottopassi, argini, ponti. Altri consigli sono sulle pagine web della Protezione Civile (che in questi mesi si sta dotando di un sistema di allerta tramite cellulare, ITalert, anche per emergenze di questo tipo): iononrischio.it e rischi.protezionecivile.gov.it

Per prevenire

Anche da parte di noi cittadini serve attenzione a come si modifica il territorio quando si costruisce, facendosi affiancare dalle giuste professionalità. "È proprio una questione culturale, che deve portare a chiedersi sempre che impatto abbiamo e se una casa o un suolo a cui siamo interessati è anche sicuro dal punto di vista del rischio idrogeologico".

Anche per il cambiamento climatico, che incide sul dissesto, possiamo fare qualcosa e ridurre le nostre emissioni, ad esempio utilizzando meno l’auto, usando elettrodomestici efficienti e fonti di energia rinnovabile (qui altri consigli su come vivere in modo sostenibile).

AC Connect, il broker della fondazione Altroconsumo, ha pensato di offrire a tutti i soci e fan la possibilità di sottoscrivere una polizza studiata in collaborazione con Net Insurance ed RCApoint Broker per poter assicurare la propria abitazione contro i rischi di eventi catastrofali. Questa polizza è stata appositamente concepita per fornire copertura alle abitazioni in tutto il territorio italiano, una caratteristica non sempre garantita da molte compagnie. Sono coperti i danni da terremoto e, su richiesta, anche da inondazioni, alluvioni e bombe d’acqua. Non ci si limita a tutelare il solo edificio, ma anche il contenuto dell’abitazione, nei limiti specificati in polizza: anche in questo caso si tratta di una caratteristica non sempre garantita dalle altre polizze presenti sul mercato. Inoltre, la polizza fornisce un risarcimento anche nel caso in cui non si decida di ricostruire l’edificio danneggiato nello stesso luogo in cui era situato originariamente.

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