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Allergie alimentari: cosa sono, quali effetti provocano e come si individuano

Si può morire per una reazione allergica? Che cos'è uno shock anafilattico? Che differenza c'è tra un'allergia e un'intolleranza alimentare? E soprattutto quali test ci sono per scoprire se siamo allergici? In questo articolo cerchiamo di fare un po' di chiarezza sulle allergie di tipo alimentare e capiremo che cosa prevede le legge riguardo l'indicazione delle sostanze che possono provocare allergia negli alimenti.

Con il contributo esperto di:
articolo di:
12 marzo 2025
Donna con rossire al braccio e alimenti

Le allergie alimentari possono rappresentare una sfida quotidiana per chi ne soffre, poiché anche una piccola quantità dell’alimento responsabile può provocare reazioni più o meno gravi. Per questo motivo, una diagnosi precoce è fondamentale. Non esiste un singolo test in grado di confermare o escludere con certezza un’allergia: il primo passo essenziale è il colloquio con il medico (anamnesi), che raccoglierà informazioni sui sintomi e sulle possibili cause, e indirizzerà il paziente dall’allergologo. Solo l’uso di test diagnostici validati e l’interpretazione dei risultati da parte dell’allergologo permettono di avere una diagnosi accurata.

Una volta identificati gli alimenti responsabili, la strategia più efficace per condurre una vita normale, è evitarne completamente il consumo, anche in tracce. Ciò richiede grande attenzione nella scelta dei prodotti alimentari che si acquistano: leggere con cura le etichette è fondamentale per individuare eventuali allergeni. Inoltre, quando si mangia fuori casa, è sempre buona pratica informare il personale del ristorante o lo chef del proprio problema, in modo da prevenire rischi per la salute.

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Cosa sono le allergie alimentari

Un'allergia alimentare è una risposta anomala del sistema immunitario a uno specifico alimento o a un suo componente che prende il nome di allergene. I sintomi sono vari: si va dall’orticaria alle eruzioni cutanee, dall’asma al pizzicore e gonfiore alle labbra e alla mucosa orale fino alla diarrea e vomito. In rari casi la reazione può essere molto grave e portare allo shock anafilattico. I sintomi compaiono da pochi minuti a 1-2 ore dopo l’assunzione dell’allergene.  

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Allergia o Intolleranza alimentare?

L'allergia però non va confusa con l'intolleranza alimentare. Un'intolleranza non coinvolge il sistema immunitario, ma è causata dalla scarsità o mancanza di alcuni enzimi: ciò rende difficoltosa la digestione di alcune sostanze. I disturbi non sono comunque mai gravi come quelli dovuti ad alcune allergie (shock anafilattico). Un esempio tipico di intolleranza alimentare è quella al lattosio, lo zucchero principale del latte. Interessa le persone carenti dell’enzima lattasi. I sintomi sono dolori addominali e diarrea

In questo articolo trovi una descrizione delle intolleranze alimentari più comuni e i test da fare in questi casi.

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Gli allergeni alimentari più comuni

La legge, attenta ormai da diversi anni nei confronti di chi è allergico, individua ed elenca le sostanze alimentari che possono provocare allergie o intolleranze. Si tratta di una lista di 14 gruppi che devono essere messi in evidenza nella lista degli ingredienti (per esempio scritti in maiuscolo e/o in neretto e/o sottolineati…). La legge prevede che, nel caso in cui il produttore non dichiari un allergene che è invece è presente in un prodotto in commercio, scatti il richiamo immediato del prodotto

  1. Cereali contenenti glutine, vale a dire: grano (tra cui farro e grano khorasan), segale, orzo, avena e prodotti derivati. Fanno eccezione alcune sostanze, come gli sciroppi di glucosio a base di grano e di orzo e i cereali usati per produrre i distillati alcolici.
  2. Crostacei e prodotti a base di crostacei.
  3. Uova e prodotti a base di uova.
  4. Pesce e prodotti della pesca: fa eccezione però la gelatina o colla di pesce usata come supporto per preparati di vitamine e come chiarificante nella birra e nel vino per illimpidirli.
  5. Arachidi e prodotti a base di arachidi.
  6. Soia e prodotti a base di soia, con alcune eccezioni, come l’olio di soia raffinato, il tocoferolo o vitamina E (additivo antiossidante, indicato come E306) e i fitosteroli derivati dalla soia.
  7. Latte e prodotti a base di latte (incluso lattosio), ad eccezione del siero di latte usato per produrre distillati alcolici e del lattitolo, un sostituto dello zucchero usato talvolta nei prodotti senza zuccheri aggiunti.
  8. Frutta a guscio, vale a dire: mandorle, nocciole, noci, noci di acagiù, noci di pecan, noci del Brasile, pistacchi, noci macadamia o noci del Queensland, e i loro prodotti, ad eccezione della frutta a guscio usata per produrre distillati alcolici (ad esempio il nocino).
  9. Sedano e prodotti a base di sedano.
  10. Senape e prodotti a base di senape.
  11. Semi di sesamo e prodotti a base di semi di sesamo.
  12. Anidride solforosa e solfiti in concentrazioni superiori a 10 mg/kg o 10 mg/litro.
  13. Lupini e prodotti a base di lupini.
  14. Molluschi e prodotti a base di molluschi.
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Test e prove allergiche

La diagnosi di allergia alimentare è un percorso articolato che richiede diverse fasi. Il primo passo è l’anamnesi, ovvero il colloquio con il medico di famiglia o il pediatra, che raccoglie informazioni sui sintomi e sulla storia clinica del paziente. Se il sospetto di allergia è fondato, il medico indirizza il paziente a uno specialista allergologo, che effettuerà gli accertamenti necessari per individuare l’allergene responsabile e stabilire una strategia di gestione della malattia. Questa si basa principalmente sull’evitare l’alimento scatenante ed educare il paziente a riconoscere e affrontare eventuali reazioni avverse.

Test allergie alimentari

Sono disponibili diversi test diagnostici validati, ma la loro interpretazione spetta sempre al medico. È importante sottolineare che un risultato positivo non equivale automaticamente a una diagnosi di allergia: questi test rilevano una sensibilizzazione (ossia una risposta immunitaria) dell’organismo a determinati allergeni, ma non tutti i soggetti sensibilizzati sviluppano sintomi reali quando esposti all’allergene nella vita quotidiana. Per questo, i risultati dei test devono sempre essere valutati nel contesto clinico complessivo del paziente.

Una diagnosi errata può portare a restrizioni alimentari inutili e potenzialmente dannose, con il rischio di carenze nutrizionali, oltre a ritardare l’identificazione e il trattamento di altre possibili patologie. Per questo motivo, è fondamentale affidarsi esclusivamente a professionisti qualificati ed evitare test fai-da-te e autodiagnosi, che possono risultare fuorvianti e pericolosi.

Prove allergiche alimentari: come funzionano

Esistono diverse prove allergiche alimentari che possono essere eseguite direttamente sul paziente (test in vivo) o su un campione del suo sangue (test in vitro). La scelta del test più adatto per un determinato paziente e degli allergeni da esaminare spetta sempre all’allergologo, sulla base delle informazioni raccolte dal medico durante l’anamnesi.
Di norma, si parte dai test cutanei e nei casi dubbi e più complessi si procede con test del sangue per rilevare la presenza di anticorpi specifici, le immunoglobuline E (o IgE).

Questi esami sono utili per diagnosticare le allergie IgE-mediate, quelle più comuni, caratterizzate da sintomi che si manifestano generalmente entro due ore dal consumo dell’alimento responsabile. Mentre non sono indicati per identificare le allergie non IgE-mediate o miste (come la proctocolite allergica, la sindrome da enterocolite o l’esofagite eosinofila) che richiedono un approccio diagnostico più complesso dal momento che i sintomi hanno un esordio tardivo e tendono ad essere cronici, e ciò non rende sempre possibile ricollegare quali alimenti siano implicati. Inoltre, non essendo legate alla produzione di IgE, queste allergie non possono essere diagnosticate con i test tradizionali. In questi casi al diagnosi è basata sull’anamnesi medica e la dieta di eliminazione.

I test cutanei

I test cutanei rappresentano le prove allergiche alimentari di primo livello nel percorso diagnostico delle allergie: sono affidabili; facili da eseguire; sicuri, se affidati a personale specializzato; danno un responso in tempi brevi e sono economici. Nella maggior parte dei casi le prove cutanee sono sufficienti per permettere al medico di fare la diagnosi.

Il Prick test consiste nel depositare una o più gocce di estratto di allergene sulla pelle dell’avambraccio, su cui viene poi praticato un piccolo graffio per favorire il contatto tra l’allergene e le cellule cutanee reattive. Generalmente si utilizzano estratti allergenici purificati, ma nel caso delle allergie agli alimenti si possono usare anche alimenti freschi (prick by prick). Il test è positivo se dopo 15/20 minuti la zona dove è stato eseguito il test si gonfia e arrossisce, segno che vi è stata una reazione all’allergene testato.
Nei casi dubbi, ad esempio quando i risultati del test cutaneo sono negativi, ma sulla base dell’anamnesi c’è il forte sospetto che il paziente sia allergico, si procede con un test del sangue.

Allergie alimentari, test del sangue

I test del sangue per le allergie prevedono un semplice prelievo di sangue, che viene poi analizzato in laboratorio per misurare la presenza di anticorpi IgE specifici contro determinati allergeni o altri indicatori di reazione allergica. Rispetto ai test cutanei, questi esami sono considerati più sicuri perché il paziente non entra in contatto diretto con l’allergene, ma hanno il limite di essere più costosi.

1) Test delle IgE specifiche
Esistono due principali categorie di test per rilevare gli anticorpi IgE.

  • Test con estratti allergenici grezzi, utilizzano allergeni estratti direttamente da alimenti o piante (come nel RAST test).
  • Test con allergeni molecolari, utilizzano tecniche più moderne, come il test ImmunoCap, e impiegano allergeni purificati e prodotti in laboratorio. Questi test permettono di distinguere tra le diverse proteine presenti in un alimento e di valutare meglio il rischio di reazioni gravi.

Esistono inoltre due modalità di analisi.

  • Test multiplex che permettono di analizzare centinaia di allergeni con una piccola quantità di sangue, ma hanno un costo elevato.
  • Test singleplex che analizzano singoli allergeni, fornendo informazioni più mirate.

I test molecolari sono particolarmente utili per i pazienti polisensibilizzati, ovvero coloro che risultano sensibili a più allergeni, poiché aiutano a distinguere tra reazioni clinicamente rilevanti e sensibilizzazioni senza sintomi.

2) BAT test
Un altro esame disponibile nella diagnosi delle allergie alimentari è il BAT (Basophil Activation Test), che misura l’attivazione dei basofili, un tipo di globuli bianchi coinvolti nelle reazioni allergiche che trasportano sulla loro superficie anticorpi IgE specifici. Questo test valuta la risposta dei basofili quando vengono esposte in laboratorio a un allergene specifico: se il paziente è allergico, i basofili lo riconoscono grazie agli anticorpi IgE presenti sulla loro superficie e si attivano, rilasciando segnali di risposta (attraverso una tecnica citofluorimetrica viene misurata l’espressione dei marker di attivazione dei basofili).

Sebbene il BAT sia molto preciso, richiede apparecchiature avanzate e personale specializzato, per cui non è sempre disponibile ed è più costoso rispetto agli altri test del sangue. Per questo motivo, viene riservato ai casi più complessi, in cui i test tradizionali non forniscono risposte chiare. È particolarmente indicato nella diagnosi di allergia all’arachide o al sesamo.

Test di provocazione orale

Il test di provocazione orale è un esame di terzo livello, utilizzato nei casi in cui la diagnosi di allergia alimentare non sia chiara. Si esegue, ad esempio, quando i sintomi persistono nonostante l’eliminazione dell’alimento dalla dieta o quando i risultati di test cutanei e del sangue sono discordanti.

Come suggerisce il nome, il test consiste nella somministrazione controllata dell’alimento sospetto, con l’obiettivo di verificare se provoca una reazione allergica. Il paziente assume il cibo in dosi molto basse e gradualmente crescenti, seguendo intervalli di tempo prestabiliti. Poiché questo test può scatenare sintomi anche gravi, il paziente è tenuto sotto stretta osservazione da parte del personale sanitario. In caso di reazione allergica, i medici sono pronti a intervenire rapidamente con farmaci specifici, come adrenalina o cortisone.

Non tutti possono sottoporsi a questo test: non viene eseguito in pazienti che hanno avuto uno shock anafilattico o reazioni molto gravi, poiché il rischio sarebbe troppo elevato. Prima di procedere, il medico valuta attentamente i benefici e le alternative disponibili. Il test di provocazione orale è considerato il metodo più preciso per confermare o escludere un’allergia alimentare. Tuttavia, vista la sua complessità e i potenziali rischi, viene riservato solo ai casi in cui gli altri test non siano stati sufficienti a ottenere una diagnosi certa.

Dieta di eliminazione: uno strumento diagnostico per le allergie alimentari

La dieta di eliminazione non è un vero e proprio test allergologico, ma in alcuni casi, come nelle allergie non IgE-mediate o nelle intolleranze alimentari, rappresenta l’unico metodo affidabile per individuare l’alimento responsabile, poiché per queste condizioni non esistono test diagnostici validati.

Come funziona? Si elimina completamente dalla dieta l’alimento (o gli alimenti) sospetto per un periodo di 2-4 settimane. Se durante questo tempo i sintomi migliorano in modo significativo, è probabile che l’alimento eliminato sia la causa del problema. In tal caso, potrebbe essere necessario proseguire con una dieta di esclusione a lungo termine.

Attenzione: non è una dieta fai-da-te! Seguire una dieta di eliminazione senza supervisione medica può essere rischioso, in quanto potrebbe portare a carenze nutrizionali o a restrizioni inutili. Per questo motivo, deve essere sempre monitorata da un medico e da un dietista o un nutrizionista, che aiuteranno a bilanciare l’alimentazione e a reintegrare eventuali nutrienti mancanti.

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Shock anafilattico: come riconoscerlo e intervenire

Cos'è lo shock anafilattico

Lo shock anafilattico è una reazione allergica improvvisa che può scatenarsi in persone allergiche in caso di contatto (di solito per ingestione) con la specifica sostanza verso cui sono sensibili: per esempio arachidi, i crostacei, uova, latte. Reazioni anafilattiche possono scatenarsi anche dopo una puntura di api, vespe o calabroni, in soggetti allergici al loro veleno. Il contatto con l’allergene avvia una risposta infiammatoria generalizzata, che causa il crollo della pressione sanguigna, tachicardia e difficoltà nella respirazione. La reazione infiammatoria può inoltre gonfiare la glottide, a livello della laringe, causando un’ostruzione totale del passaggio dell’aria che può divenire fatale.

Come si riconosce lo shock anafilattico

Lo shock anafilattico, se non trattato rapidamente, può rivelarsi fatale. Si scatena in un tempo che può variare da pochi minuti fino a un’ora dopo il contatto con l’allergene. Per questo motivo è importante saperne riconoscere immediatamente i sintomi:

  • formicolio, vampate al capo e alle estremità del corpo;
  • prurito a livello del cavo orale e gonfiore delle mucose della bocca, lingua e labbra. Prurito, arrossamento e bolle possono presentarsi in altre zone del volto e del corpo;
  • difficoltà a respirare, raucedine, respiro sibilante pallore, sudorazione, sensazione di svenimento, accelerazione del battito cardiaco, perdita di coscienza;
  • vomito e diarrea.

Come evitare lo shock anafilattico

Se si riconoscono i sintomi dello shock in una persona allergica, bisogna intervenire prontamente somministrando adrenalina, un farmaco che alza la pressione sanguigna e dilata i bronchi. L'adrenalina è disponibile anche in siringhe pre-dosate per adulti e per bambini, da auto-iniettarsi intramuscolarmente, che possono essere usate in autonomia dal soggetto allergico (le prescrive l’allergologo o il medico di base). 

L’adrenalina va iniettata ai primi segni di reazione anafilattica, premendo la siringa sulla coscia per il tempo necessario, anche direttamente attraverso gli indumenti. L’adrenalina in forma auto-iniettabile dovrebbe essere sempre portata con sé e i genitori non dovrebbero mai esitare ad usarla qualora i loro bambini allergici mostrino i segni dello shock anafilattico (importante di ricordarsi che non è l’età ma il peso a determinare quale dosaggio acquistare e somministrare). Il farmaco va però usato solo di fronte ai sintomi dello shock, mai come profilassi o in caso di paura per il sospetto di aver ingerito un noto allergene.

Sia in caso di utilizzo dell’adrenalina, ma soprattutto nel caso in cui fosse la prima manifestazione e non si fosse ovviamente preparati e muniti di adrenalina, è fondamentale richiedere al più presto l’intervento sanitario chiamando il 112 o recandosi prontamente in pronto soccorso. In attesa dei soccorsi è opportuno disporre la persona nella posizione antishock: sdraiata sulla schiena, con il capo girato da un lato e le gambe sollevate circa 30 cm da terra per favorire il ritorno del sangue venoso al cuore. Sotto la testa non vanno messi cuscini o spessori, per evitare di porre il capo in una posizione che va ad ostacolare ulteriormente il passaggio dell’aria e la respirazione.

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Etichettatura degli alimenti e allergeni: quali obblighi

Per legge, l’informazione relativa alla presenza di allergeni in un alimento deve comparire non solo sulle etichette dei prodotti confezionati, ma deve essere fornita anche nel caso di alimenti venduti sfusi e proposti dalla ristorazione collettiva (bar, ristoranti, mense, ospedali, servizi di catering, veicoli o supporti fissi o mobili...).

  • Nel primo caso, gli alimenti venduti sfusi devono essere muniti di un cartello apposito o di un altro mezzo equivalente, anche digitale, di facile accesso e riconoscibile, nei comparti in cui sono esposti.
  • Nel caso di alimenti proposti dalla ristorazione collettiva, l’informazione dev’essere apposta sul menù oppure su un registro o cartello o su altro sistema equivalente, anche digitale, da tenere bene in vista. Come riporta il Ministero della Salute, però, nel caso in cui si utilizzino sistemi elettronici come le applicazioni per smartphone, codice QR..., questi non possono rappresentare gli unici strumenti presenti per riportare le dovute informazioni, poiché difficilmente accessibili a tutta la popolazione. In alternativa, si può riportare l'avviso della possibile presenza degli allergeni rimandando al personale per avere le necessarie informazioni, che devono essere comunque in forma scritta e facilmente reperibili per il consumatore.

Cosa significa "può contenere tracce di..." 

Quando troviamo scritto su un'etichetta "può contenere tracce di..." significa che l'allergene in questione non è presente tra gli ingredienti e non è usato nelle formulazione del prodotto, ma tuttavia si dice che può essere presente in tracce e non si può escludere la sua presenza, verosimilmente a causa di contaminazione accidentale. Si tratta di indicazioni facoltative che vengono apposte quando l’azienda produttrice non è in grado di garantire l’assenza di allergeni. Queste comunicazioni, però, anziché andare realmente incontro alle esigenze dei consumatori, scaricano di fatto la responsabilità su chi acquista il prodotto, creando frustrazione negli acquirenti, che si vedono limitati nella loro possibilità di scegliere in maniera però non proprio corretta. La lettura dell’etichetta, infatti, dovrebbe consentire di distinguere con certezza un prodotto sicuro da un altro che non lo è.

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