Test intolleranze alimentari: sono affidabili per la diagnosi?
In presenza di sintomi gastrointestinali ricorrenti, sempre più persone attribuiscono la responsabilità a un’intolleranza o allergia alimentare, eliminando dalla dieta presunti alimenti che considerano sospetti. Senza test affidabili, il rischio di una diagnosi errata è alto con la conseguenze potenzialmente dannose. Ecco quali sono i test da fare e come si fa una diagnosi corretta.

Differenze tra intolleranza e allergia: come distinguerle
Sebbene i due termini vengano spesso usati indiscriminatamente, le intolleranze e le allergie alimentari sono disturbi ben distinti che si differenziano per i sintomi e per i meccanismi che li scatenano. Entrambe sono reazioni avverse che si manifestano dopo il consumo di alcuni alimenti ma, al contrario delle allergie, le intolleranze non hanno natura immunitaria (tranne il noto caso della malattia celiaca, che è un caso a sé) e si manifestano con sintomi perlopiù gastrointestinali dose-dipendenti, cioè che peggiorano al crescere delle quantità di alimento consumato. Mentre nelle allergie anche minime esposizioni possono causare shock anafilattici.
Un individuo intollerante ha difficoltà a digerire alcuni alimenti o ad assorbire alcuni nutrienti per via di difetti enzimatici (come nel caso dell’intolleranza al lattosio) o dell'azione “farmacologica” di sostanze presenti negli alimenti (come l’istamina). Anche gli additivi, come i conservanti o gli esaltatori di sapidità, possono causare reazioni anormali nel nostro organismo; sebbene i meccanismi siano sconosciuti non ci sono prove che abbiano basi immunologiche. Le intolleranze non risultano dai test sulle allergie, anche se spesso sono accompagnate da sintomi simili.
Intolleranze alimentari più comuni
Negli ultimi anni, abbiamo assistito a un aumento di casi di presunte intolleranze. Tuttavia, sono poche le intolleranze ben studiate, per cui si conoscono i meccanismi che le scatenano e che possono essere diagnosticate attraverso test affidabili. Sono l’intolleranza al lattosio e al fruttosio e quella al glutine, mentre sono ancora oggetto di dibattito nonostante l’interesse crescente della ricerca:
- l’intolleranza ai FODMAP (carboidrati fermentabili a catena corta).
- L'intolleranza al lievito.
- La sensibilità al glutine non celiaca.
- la sindrome da allergia al nichel.
Si manifestano con sintomi generici come gonfiore, dolore addominale e diarrea, che potrebbero derivare da cattive abitudini alimentari o da altre condizioni, come la sindrome dell’intestino irritabile, e che spesso vengono autodiagnosticate da chi ne soffre a seguito di informazioni inattendibili ricevute da amici, conoscenti o fonti non professionali, come quelle trovate online. Non sono disponibili test validati per la loro diagnosi.
Purtroppo, diagnosi sbagliate di intolleranze possono portare a restrizioni alimentari non necessarie, che, se mantenute a lungo, rischiano di causare carenze nutrizionali e compromettere la qualità della vita. È quindi fondamentale rivolgersi a professionisti della salute per una diagnosi corretta e per gestire al meglio la propria alimentazione.
Intolleranza al lattosio
Il lattosio è uno zucchero presente nel latte e nei suoi derivati, come yogurt, formaggi freschi e molti prodotti industriali (sughi, creme ecc). Per essere digerito, deve essere scomposto dall'enzima lattasi in glucosio e galattosio, che l’intestino può assorbire.
Le persone intolleranti al lattosio hanno una carenza parziale o totale dell’enzima lattasi che impedisce di digerire il lattosio nel colon, dove viene fermentato dai batteri intestinali. Questo provoca gonfiore, crampi, flatulenza e diarrea, con sintomi che variano in intensità a seconda della quantità di lattosio ingerito e del livello di enzima presente.
L’intolleranza si manifesta spesso in adolescenza o età adulta, a causa della naturale riduzione della lattasi. In rari casi, è congenita e compare fin dall’infanzia. Può anche essere secondaria a patologie intestinali come la celiachia o il morbo di Crohn, e migliorare con la cura della malattia.
Per chi è intollerante, è importante evitare il lattosio. In Italia, i prodotti possono riportare l’etichetta “senza lattosio” se ne contengono meno di 0,1 g per 100 g/ml, mentre il latte e i latti fermentati possono essere definiti “a ridotto contenuto di lattosio” se ne hanno meno di 0,5 g per 100 g/ml. Questi prodotti contengono comunque glucosio e galattosio, derivati dalla scissione del lattosio.
Analogamente, ci sono alcuni individui intolleranti al fruttosio (zucchero presente nella frutta, nel miele, in alcune verdure, ma anche nello zucchero da tavola, bibite e dolci), a causa della scarsa presenza o dell’inefficacia della proteina addetta al suo assorbimento a livello della mucosa intestinale.
Intolleranza al glutine (o celiachia)
Si tratta di una patologia autoimmune che colpisce l’intestino. È scatenata, in soggetti geneticamente predisposti, dal consumo di una proteina chiamata gliadina, che a sua volta fa parte di un complesso proteico ben più noto, il glutine. Il glutine è presente in diversi cereali (come grano, segale, orzo e farro) e dunque in alimenti come pasta, pane, pizza, biscotti, ecc. Nella celiachia, il sistema immunitario attacca per errore la mucosa dell’intestino tenue in risposta alla presenza di gliadina, causando un’infiammazione cronica che porta alla scomparsa dei villi intestinali e al malassorbimento di nutrienti essenziali e a un deficit di enzimi digestivi (per esempio, la lattasi).
Si manifesta con:
- diarrea;
- gonfiore e dolore addominali;
- perdita di peso;
- rallentamento della crescita nei bambini.
Può dare:
- anemia;
- disturbi del ciclo mestruale;
- infertilità;
- afte orali ricorrenti;
- perdita dello smalto dei denti;
- in alcuni casi, causa una dermatite con vescicole pruriginose.
Similmente agli individui allergici, per condurre una vita normale i celiaci devono escludere tutti gli alimenti contenenti glutine dalla loro dieta. Oggi fortunatamente è disponibile un’ampia gamma di prodotti sostitutivi (pasta, pizza, prodotti dolciari e cereali senza glutine ecc.) acquistabili in farmacia, negozi specializzati o supermercati a costi più alti di quelli tradizionali. Il Servizio Sanitario Nazionale eroga alle persone con diagnosi di celiachia un importo mensile con i quali è possibile acquistare una serie di prodotti dietetici privi di glutine, iscritti nel Registro Nazionale degli Alimenti del Decreto dell’8 giugno 2001. Sulle etichette dei prodotti alimentari la dicitura «senza glutine» è consentita solo se il contenuto di glutine dell'alimento non è superiore a 20 mg/kg. Sul sito del Ministero della salute è presente un Prontuario degli alimenti , aggiornato annualmente, che registra tutti i prodotti alimentari erogabili gratuitamente. Invece, la dicitura «con contenuto di glutine molto basso» è permessa solo se il contenuto di glutine dell'alimento non è superiore a 100 mg/kg.
Intolleranza all’istamina
Sebbene non siano completamente definiti i meccanismi che determinano questa intolleranza le persone intolleranti all’istamina hanno probabilmente uno squilibrio tra l’apporto di questa sostanza con la dieta e l’eliminazione, determinato da una ridotta attività dell’enzima responsabile del suo metabolismo, la diamina ossidasi (DAO). L'ingestione di alimenti ricchi di istamina (alimenti sottoposti a processo di invecchiamento o fermentazione come insaccati, pesci freschi o in scatola, alcuni formaggi, vino rosso ed estratti di lievito di birra) o di alcolici o di farmaci che riducono la quantità di enzima DAO (ad es. amitriptilina, cimetidina, ciclofosfamide) può provocare un accumulo di istamina, che dà origine ai classici sintomi di un allergia: diarrea, cefalea, prurito, vampate di calore, congestione nasale, respiro sibilante, asma, calo della pressione, aritmia, orticaria. In maniera analoga, ci possono essere reazioni avverse anche alla tiramina (appartenente alla stessa classe dell’istamina: le amine vasoattive) contenuta in alcuni formaggi, vini rossi, e in salse derivate dalla soia, che induce in alcune persone un aumento della pressione, mal di testa, palpitazioni e vampate di calore e nausea. Purtroppo, mancano test diagnostici validati.
Torna all'inizioDiagnosi delle intolleranze alimentari
Come scoprire le intolleranze alimentari? Può essere un processo lungo e complesso, perché, a differenza delle allergie, non esistono test diagnostici affidabili per tutte le intolleranze. In molti casi, la diagnosi si basa sull’anamnesi del medico, che permette di raccogliere informazioni importanti sulla salute del paziente, sui suoi sintomi e sulle possibili cause, ed è fondamentale per distinguere intolleranze da altre condizioni o patologie come le allergie alimentari, le malattie gastrointestinali o i disturbi alimentari.
Poiché nelle intolleranze alimentari non è coinvolto il sistema immunitario, i test usati per diagnosticare le allergie non sono utili per identificare o escludere gli alimenti responsabili dei disturbi, ma solo per escludere la possibilità che i sintomi siano attribuibili a un’allergia alimentare.
Per fare una diagnosi corretta, è fondamentale un approccio multidisciplinare, che coinvolge il medico di base o pediatra, l’allergologo, il gastroenterologo e il dietista. Un metodo utilizzato per la diagnosi è la dieta di eliminazione, che consiste nell'eliminare dalla dieta per 2-4 settimane gli alimenti che si sospetta siano la causa dei sintomi e, successivamente, nel reintrodurli gradualmente. Se i sintomi scompaiono durante l’eliminazione e poi ritornano quando si reintroducono gli alimenti, il sospetto di intolleranza si concretizza. Tuttavia, bisogna considerare anche l’effetto placebo (il miglioramento dei sintomi durante l'eliminazione) e l’effetto nocebo (il peggioramento dei sintomi quando si reintroduce l’alimento). Poiché le intolleranze sono dose dipendenti (cioè dipendono dalla quantità di alimento ingerito), con l’aiuto del dietista è possibile individuare la soglia di tolleranza individuale. Questo permette di creare una dieta personalizzata, che aiuti a mantenere i sintomi sotto controllo senza rinunciare a tutti gli alimenti sospetti.
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Test intolleranze alimentari
I test per le intolleranze alimentari aiutano il medico a confermare il sospetto di un'intolleranza a determinati alimenti, ma solo pochi sono affidabili, tra cui il breath test per lattosio e fruttosio e gli esami del sangue per la celiachia. Negli altri casi, il medico basa la sua diagnosi su anamnesi e dieta di eliminazione. Sempre più persone, però, ricorrono a test fai da te o a metodologie non scientificamente validate, rischiando diagnosi errate e scelte alimentari sbagliate.
Breath test
Noto anche come test del respiro, è utilizzato per la diagnosi di intolleranza al lattosio o al fruttosio. Si esegue espirando aria in un palloncino, a più riprese, prima e dopo aver consumato lattosio o fruttosio. Attraverso un apparecchio si rileva la quantità di idrogeno emessa nell’aria espirata, che è una misura del malassorbimento intestinale e della fermentazione da parte dei batteri (che consumando lattosio /fruttosio producono idrogeno, che passa poi nel sangue e infine nell’aria esalata con la respirazione). Il test è positivo se viene rilevato un picco di gas, indicativo dell’incapacità di digerire il lattosio o il fruttosio. Attenzione il fumo e alcuni farmaci e alimenti possono influire sull’accuratezza del breath test, pertanto si consiglia di seguire le precauzioni riportate sul sito dell’ Istituto Superiore di sanità.
Test per la celiachia (ricerca auto anticorpi)
L’intolleranza al glutine viene diagnosticata attraverso degli esami del sangue che ricercano specifici anticorpi di classe IgA (anti-transglutaminasi e anti-endomisio) mentre i pazienti seguono una dieta contenente glutine. Nell’adulto per la diagnosi definitiva è necessaria la biopsia della mucosa duodenale, fatta tramite esame endoscopico per valutare il grado di danneggiamento dei villi intestinali. Gli esami validi per ottenere una diagnosi di celiachia si eseguono in ospedale, le linee guida raccomandano di rivolgersi a un centro di riferimento regionale per la malattia celiaca per la corretta interpretazione degli esiti. Una volta accertata (diagnosticata) la celiachia, il paziente otterrà un’esenzione per patologia che gli permetterà di eseguire gratuitamente controlli periodici per verificare la negativizzazione degli anticorpi, la remissione dei sintomi e l’assorbimento di alcuni nutrienti.
Torna all'inizioTest non affidabili
Sebbene su internet si trovino molti slogan che promettono di identificare facilmente con l’uso di svariati test la causa di quei problemi cutanei, respiratori o digestivi inspiegabili e che non trovano risposta nella medicina tradizionale, la realtà è ben diversa. Molte delle intolleranze alimentari di cui si parla frequentemente, come quelle ai FODMAP, al lievito o al nichel, non possono essere diagnosticate con test affidabili. In particolare, ci sono test fai-da-te che si acquistano online o in farmacia: si tratta di kit di prelievo che il consumatore può fare autonomamente (spesso con un semplice pungidito), per poi inviare i campioni a un laboratorio, oppure eseguirli in farmacia o in centri privati. Sono disponibili anche svariate tipologie di test che si effettuano in ambulatori di medicina naturale, olistica, nutrizione e alimentazione, ma che utilizzano tecnologie non scientificamente validate.
In entrambi i casi, il consumatore salta un passaggio cruciale: il colloquio con il medico, che è essenziale per distinguere le intolleranze da altre condizioni o patologie. Senza l’anamnesi, la diagnosi rischia di essere inaccurata o incompleta.
Da anni gli esperti di allergologia mettono in guardia i consumatori sull’uso di questi test, in quanto sono un potenziale danno per la salute oltre che uno spreco di denaro. Tra le principali criticità rilevate vi sono:
- mancanza di razionale, validità scientifica o affidabilità diagnostica;
- disintermediazione del rapporto medico-paziente, che risulta nel ricorso a test diagnostici inappropriati e inutili;
- illusorie diagnosi di intolleranza o allergia che ritardano le diagnosi di eventuali malattie sottostanti o che instaurano convinzioni erronee, generando ansia e stress;
- interpretazione dei risultati lasciata ai consumatori, con informative parziali e fuorvianti, che portano a scelte alimentari, prese in autonomia, e che producono restrizioni inappropriate e controproducenti, diete sbilanciate, carenti e dannose (soprattutto per soggetti in crescita).
Inoltre, non va tralasciato che i costi dei test per le intolleranze alimentari sono a totale carico dei pazienti, e in molti casi superano le centinaia di euro.
Vediamo ora quali sono questi test inaffidabili (che citiamo con il nome commerciale, quando è noto, o come metodologia, se comune a più esami) e perché sono inaffidabili:
Test delle IgG
I test delle IgG misurano la presenza di anticorpi IgG o IgG4 contro vari alimenti e vengono proposti come test fai-da-te o eseguiti in laboratori privati. Si riceve poi un referto con un lungo elenco di alimenti testati e il riscontro (o meno) nel sangue di anticorpi IgG diretti contro di essi. Si tratta quindi di test che promettono di rilevare verso quali alimenti l’organismo ha sviluppato una reazione immunitaria. Tuttavia, gli esperti sottolineano che la presenza di anticorpi IgG verso gli alimenti è una risposta normale del sistema immunitario e non indica intolleranza o allergia. Anzi, alti livelli di IgG sono spesso associati alla tolleranza alimentare. Questi test, quindi, possono portare a diagnosi errate e a esclusioni alimentari inutili o dannose. Per questo motivo, molti gruppi di esperti internazionali, tra cui l'American Academy of Allergy, Asthma & Immunology, la Canadian Society of Allergy and Clinical Immunology, e la European Academy of Allergy & Clinical Immunology sconsigliano l’uso di questi test.
Test per la misurazione del BAFF e del PAF
Alcuni test (ad esempio il Recaller) promettono di diagnosticare le intolleranze attraverso la misurazione di due molecole pro-infiammatorie: BAFF e PAF. BAFF (B-cell Activating Factor) è una citochina coinvolta principalmente nella regolazione del sistema immunitario e soprattutto nella risposta dei linfociti B, che producono anticorpi. PAF (Platelet-Activating Factor) svolge un ruolo centrale in vari processi infiammatori, come l'attivazione delle piastrine e la vasodilatazione. Entrambe le molecole però non sono indicatori di una reazione immunitaria associata a intolleranza alimentare (che, ricordiamo, non hanno base immunitaria). L’uso di questi test potrebbe portare a diagnosi errate o a interpretazioni fuorvianti.
Test citotossico (Test di Bryan)
È un test in vitro effettuato mettendo un campione di sangue (prelevato dal soggetto da testare) a contatto con degli estratti alimentari per valutare come reagiscono i globuli bianchi presenti nel sangue. Eventuali alterazioni del numero e della morfologia dei globuli bianchi sono considerati segni di una reazione all’alimento, da interpretarsi come indice di intolleranza. Il problema è che non è affatto chiaro se i cambiamenti osservati in questo test abbiano davvero un significato patologico, cioè se evidenzino realmente qualcosa di anomalo o non siano semplicemente reazioni biologiche normali. Gli studi disponibili sul test citotossico, oltre ad avere carenze metodologiche, mostrano risultati non sempre replicabili e poco affidabili, in quando si ottengono spesso effetti citotossici con alimenti che non producono sintomi clinici nei soggetti arruolati, mentre si ottengono risultati negativi con alimenti associati a sintomi; pertanto, l'opinione scientifica è concorde nel ritenere che il test citotossico sia inaffidabile come strumento diagnostico.
Test ALCAT
Tra i test che usano la metodologia della citometria a flusso, il più noto è il test ALCAT. Si tratta di una versione automatizzata del test citotossico: si esegue tramite un normale prelievo di sangue, che viene poi messo a contatto con una serie di alimenti di cui si sospetta l’intolleranza. Un dispositivo computerizzato effettua la lettura del risultato, misurando le modificazioni dei globuli bianchi a contatto con i vari alimenti. Questa variazione identificherebbe una reazione avversa all’alimento, ma come abbiamo detto, non è affatto chiaro se sia così. Una revisione indipendente della metodologia ALCAT ha concluso che non sono disponibili dati relativi alla precisione e all’accuratezza analitica; quindi, non è possibile sapere se la metodica rilevi correttamente i casi con disturbi specifici, distinguendoli dai casi privi di disturbi e se non crei eccessive false diagnosi. Diverse revisioni indipendenti hanno concluso che non esiste una base scientifica per questi test e ne hanno sconsigliato l'uso.
Test elettrodermici
Questi test, di cui il più noto è il VEGA test, si basano sul principio per cui una sensibilizzazione allergica o un’intolleranza possano essere diagnosticate valutando il potenziale elettrico cutaneo di un soggetto in presenza dell’allergene: un principio, che ve lo diciamo subito, non è mai stato dimostrato. Ecco grosso modo come funziona: sfruttando particolari apparecchiature elettriche e sensori, i soggetti da testare vengono collegati ad un circuito in cui passano deboli correnti elettriche. Degli estratti alimentari (in fiale di vetro sigillate, mai a contatto con il paziente) vengono a turno testati, posizionandoli su una piastra collegata al circuito. Un'intolleranza alimentare verrebbe rilevata quando l’alimento causa un calo elettrico. Ma nessuno studio ha mai dimostrato che un test del genere possa individuare un problema alimentare. Al contrario, vari studi hanno osservato l’incapacità di tali metodiche di distinguere tra soggetti sensibili e soggetti sani o tra estratti allergenici veri ed estratti di controllo, ma anche che i risultati non correlano con quelli ottenuti con i test validati.
Test di provocazione-neutralizzazione
Ve ne sono di due tipi, uno che somministra l’allergene per via intradermica o uno che lo somministra per via sublinguale; in entrambi i casi l’intento è quello di scatenare i sintomi. Gli estratti alimentari vengono iniettati per via intradermica o posti in gocce sotto la lingua in concentrazioni crescenti fino a quando non vengono indotti dei sintomi. Una successiva somministrazione dello stesso estratto alimentare a una dose inferiore o superiore dovrebbe alleviare i sintomi. Sebbene l'esposizione a una sostanza alimentare, in questo modo, possa provocare dei sintomi, non è chiaro come la successiva esposizione a una concentrazione inferiore o superiore della stessa sostanza possa alleviare i sintomi. Non ci sono prove che i test di provocazione-neutralizzazione permettano di diagnosticare intolleranze o allergie: gli studi che ne hanno valutato l’efficacia a confronto con test che usano estratti placebo non hanno trovato differenze significative e suggeriscono che le risposte positive erano dovute alla suggestione o al caso; inoltre, l’uso può potenzialmente portare a gravi reazioni avverse nei pazienti con vera allergia alimentare, dal momento che potrebbe scatenare sintomi anche gravi. Trattandosi di un test senza validità scientifica e con rischi gravi, gli esperti sconsigliano di sottoporvisi.
Biorisonanza
Si basa sull’ipotesi (bizzarra) che l’essere umano emetta onde elettromagnetiche di valenza positiva o negativa. Usando un apparecchio specifico i promotori di questo test sarebbero in grado di captare eventuali oscillazioni elettromagnetiche “negative” emesse dall’organismo in risposta agli alimenti, per poi “correggerle”. Intolleranza e allergia verrebbero trattata rimuovendo le onde considerate patologiche. Studi effettuati in doppio cieco non sono stati in grado di dimostrare alcun valore diagnostico o terapeutico della biorisonanza sia in soggetti adulti con rinite allergica sia in una popolazione pediatrica affetta da eczema atopico.
Kinesiologia applicata (o test muscolare)
Si baserebbe sul presupposto (non valido e mai provato) che una diagnosi di intolleranza possa basarsi su variazioni della forza muscolare del paziente quando in contatto con una sostanza sospetta. Durante il test la persona regge una fiala contenente la sostanza in questione mentre uno sperimentatore ne valuta la forza muscolare. Una diminuzione della forza muscolare mentre si tiene l'alimento è considerata indice di intolleranza alimentare a quell’alimento. Un test chiamato DRIA combina il test muscolare alla provocazione/neutralizzazione, misurando la variazione della forza muscolare in risposta alla somministrazione di un estratto alimentare sotto la lingua. Inutile dire che non esiste alcuna convalida rigorosa e indipendente di questo tipo di test, nonostante venga proposto ai consumatori. Esistono solo studi metodologicamente scadenti che non devono confonderci: studi fatti male, anche qualora dessero dati a supporto, non provano alcunché.
Test del capello
Non si sa neppure come avvenga, ma solo che alle persone viene richiesto un campione di capelli che viene usato per indagare l’intolleranza a centinaia di alimenti diversi. Anche in questo caso, non serve dire di starne alla larga. In uno studio sull'affidabilità di questi test, i campioni di nove soggetti sani (che non erano a conoscenza di alcuna sensibilità ad alimenti o altre sostanze) sono stati inviati in duplice copia a tre diversi laboratori che offrivano questi test. Sono ovviamente stati ottenuti numerosi risultati positivi, ma per nulla riproducibili: ogni laboratorio ha trovato qualcosa di diverso, una chiara evidenza di fallimento diagnostico.
Iridologia
Secondo i promotori del test qualsiasi irregolarità nella pigmentazione dell’iride rappresenta una disfunzione d’organo, concetto poi esteso alle intolleranze alimentari. Esistono prove di ciò? No.
Torna all'inizioCosti dei test
I costi dei test per le intolleranze alimentari possono variare notevolmente a seconda del tipo di test, del numero di allergeni ricercati e del laboratorio o centro dove vengono effettuati. Fatta eccezione del test per l’intolleranza al lattosio e gli esami del sangue per la celiachia che si possono eseguire in ospedale dietro pagamento del ticket e con prescrizione medica, tutti gli altri test per le intolleranze alimentari non sono mutuabili e si eseguono privatamente, a totale carico dei consumatori.
- Il costo del ticket per il breath test in ospedale è di circa 21 euro. Se invece si esegue il test privatamente in farmacia o in un ambulatorio privato il prezzo potrebbe variare dai 50 ai 100 euro.
- Per quanto riguarda il test per la celiachia, il costo del ticket è di circa 60 euro per un adulto (e comprende la ricerca di anticorpi anti-glutaminasi, anti-endomisio e biopsia) e di circa 22 euro per un bambino (comprende la ricerca dei soli anticorpi anti-glutaminasi e anti-endomisio). Anche le farmacie offrono dei test pungidito per la celiachia che rilevano la presenza di anticorpi anti glutaminasi o di quelli anti gliadina, ma attenzione, l’eventuale positività non è valida ai fini della diagnosi e per ottenere l’esenzione per patologia, pertanto il paziente dovrà successivamente recarsi dal medico e seguire l’iter diagnostico previsto.
- Per quanto riguarda i test fai-da-te (kit di prelievo per misurare le IgG), si acquistano online o in farmacia a un costo che può andare da poche decine di euro a più di 100 euro a seconda del numero di allergeni testati. Mentre i test che si eseguono in centri privati di medicina naturale, olistica e nutrizionali hanno costi più elevati che possono arrivare anche a 200/300 euro a seconda della struttura in cui si esegue, numero di allergeni testati e della tecnica usata. In alcuni casi al costo del test potrebbero aggiungersi anche quello per il servizio di consulenza da parte di un esperto, generalmente un nutrizionista, che gli stessi centri offrono.
Etichettatura alimenti: obblighi e consigli
La normativa in vigore stabilisce che tutti gli ingredienti e le sostanze usate nella produzione di un alimento e ancora presenti nel prodotto finito, anche in forma modificata, che abbiano rilevanza allergologica (incluse le tolleranze) devono essere indicati nell’etichetta. Le sostanze e i prodotti che provocano allergie o intolleranze devono essere evidenziati nella lista degli ingredienti con un tipo di carattere che per dimensione, stile o contrasto con lo sfondo li differenzi dagli altri ingredienti.
Sapere come leggere le etichette è importante e, oltre alla completezza di informazioni, anche il modo in cui devono essere indicati ingredienti e coadiuvanti è normato dalla legge, in modo che non ci siano variazioni da prodotto a prodotto. Se si soffre di intolleranza si consiglia di leggere sempre le etichette degli alimenti che si acquistano:
- controllare la lista completa degli ingredienti presente nell’etichetta per sapere cosa contiene;
- fare attenzione agli additivi: gli additivi per legge devono essere indicati in etichetta con il nome della loro categoria - es. “conservanti” - seguita dal loro nome specifico oppure dal loro numero CE. Leggere con attenzione le diciture (anche minuscole) presenti sugli involucri dei cibi;
- controllare la presenza di allergeni: per legge devono essere obbligatoriamente evidenziati in etichetta. In caso di celiachia solo la dicitura “senza glutine” garantisce l’assenza di ingredienti contenenti glutine e di contaminazione.