Buoni pasto: le nuove regole su commissioni e utilizzo
La legge sulla concorrenza per il 2024 ha fissato un tetto (anche nel settore privato) alle commissioni di incasso dei buoni pasto: non più del 5% del loro valore. Minori costi per i negozianti potrebbero incentivare la loro diffusione, a tutto vantaggio dei lavoratori. Continuiamo a chiedere la possibilità di mettere l'equivalente in busta paga, ma il tetto alle commissioni va nella giusta direzione.

I buoni pasto rappresentano per molti lavoratori un’importante integrazione al reddito mensile che permette loro di acquistare beni e servizi alimentari nei negozi convenzionati. Oggi, la maggior parte dei buoni è in formato elettronico (ma esistono anche quelli cartacei) ed è regolamentata in maniera precisa: hanno una data di scadenza e un limite di utilizzo (massimo 8 buoni alla volta).
Questo sistema è apprezzato anche dai datori di lavoro che godono di agevolazioni fiscali. Negli ultimi anni, però, sono emerse alcune criticità relative alle commissioni di incasso che gli esercenti dovevano pagare. Problema parzialmente risolto dalla legge sulla concorrenza 2024 che ha introdotto un tetto del 5%. Questo essere un buon punto di partenza per una necessaria riforma del settore.
Le nuove regole hanno previsto due momenti diversi di entrata in vigore: dal 18 dicembre 2024 per gli esercenti che a quella data non avevano alcun accordo con gli emittenti. Per tutti gli altri il tetto alle commissioni scatta dal 1° settembre 2025.
Un sistema in crisi
Da tempo Altroconsumo evidenzia i limiti di un sistema che, così com’è strutturato, non funziona in maniera adeguata. I problemi di accettazione dei buoni pasto sono sempre più frequenti e causano grossi disagi ai cittadini, per i quali rappresentano una risorsa fondamentale.
Come funziona il mercato dei buoni pasto
Il settore dei buoni pasto coinvolge quattro principali attori:
- i datori di lavoro, che forniscono i buoni come servizio sostitutivo della mensa, beneficiando di agevolazioni fiscali;
- le società emittenti, che producono i buoni e definiscono le convenzioni con gli esercenti;
- gli esercenti, che accettano i buoni come pagamento di beni e servizi, ma sono costretti a pagare commissioni elevate per riscuoterne il valore;
- i lavoratori, che ricevono i buoni dal datore di lavoro e desiderano utilizzarli come ritengono più opportuno per gli acquisti di beni alimentari.
Il meccanismo alla base del mercato, però, genera squilibri evidenti. Le società emittenti “convincono” i datori di lavoro a comprare i propri buoni offrendo loro sconti elevati (fino al 20%) sul valore nominale. Per recuperare questa differenza, impongono commissioni molto alte agli esercenti, che possono anche raggiungere il 20%. Questo ha portato molti negozi a rifiutare i buoni pasto, con conseguenti difficoltà per i lavoratori nell’utilizzarli.
È necessaria una riforma
Il sistema attuale avvantaggia quasi esclusivamente le società emittenti, lasciando esercenti e lavoratori in una posizione di svantaggio. Per affrontare questi problemi, Altroconsumo ha proposto una riforma radicale del sistema, chiedendo che l’importo equivalente ai buoni pasto venga direttamente integrato nella busta paga dei lavoratori. La petizione lanciata sul tema ha già raccolto oltre 50mila firme.
In attesa di una soluzione definitiva, serve una misura correttiva immediata: fissare un tetto massimo alle commissioni di incasso per gli esercenti.