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Pausa pranzo, ai lavoratori costa più di duemila euro l'anno. L'esperienza della community di Altroconsumo

Un terzo dei lavoratori che abbiamo intervistato preferisce portarsi la schiscetta da casa; gli altri optano per bar e ristoranti, ma per la pausa pranzo si spende in media oltre 9 euro, ovvero più di 2 mila euro l'anno. Un quarto degli interpellati paga con i buoni pasto (usati spesso anche al supermercato), ma ritiene che sempre meno esercenti li accettino e che ci siano troppe limitazioni. Abbiamo chiesto al Governo che quei soldi finiscano direttamente nelle buste paga dei lavoratori: sostieni la nostra battaglia.   

  • contributo tecnico di
  • Alessandra Rivolta
15 novembre 2022
  • contributo tecnico di
  • Alessandra Rivolta
Pausa pranzo

Dopo le ultime ferie estive, con la fine delle restrizioni Covid, molti lavoratori dipendenti sono tornati a lavorare in azienda, barcamenandosi tra giorni in presenza e giorni in smartworking. In molti hanno dovuto quindi tornare a fare i conti anche con l'organizzazione della propria pausa pranzo. Ma che cosa è cambiato rispetto a prima dell'emergenza sanitaria? Come si organizzano oggi i lavorati? Dove trascorrono la loro pausa pranzo? Ma soprattutto quando spendono?

Abbiamo intervistato più di mille lavoratori dipendenti tramite ACmakers, la community di Altroconsumo che permette di partecipare in prima persona a test, inchieste e sondaggi sulle tante tematiche che riguardano i consumatori. In questo caso abbiamo chiesto loro informazioni sulla modalità con cui consumano il pranzo quando sono al lavoro, sui costi, sulle abitudini e sui metodi di pagamento che utilizzano solitamente, con un particolare focus sull'utilizzo dei buoni pasto (TicketRestaurant, Pellegrini, Sodexo...). È bene dirlo: gli intervistati non sono rappresentativi della popolazione italiana né dell’insieme dei lavoratori dipendenti, tuttavia danno uno spaccato interessante di chi è alle prese con la pausa pranzo lavorativa, nel quale molti lavoratori troveranno certamente elementi di immedesimazione. Vediamo come è andata.

Schiscetta mon amour

Un po' a sorpresa, più di un terzo di coloro che hanno risposto alla nostra intervista, predilige portarsi il pranzo da casa. Al secondo posto ci sono invece quelli che hanno risposto di essere soliti uscire per un pranzo al bar o al ristorante; seguono, in egual misura coloro che hanno dichiarato di avere la possibilità di pranzare a casa o di poter utilizzare la mensa aziendale. Infine, anche se pochi, ci sono anche coloro che preferiscono evitare un pasto strutturato acquistando qualcosa al supermercato o accontentandosi di qualche snack, ma anche chi non ha una regola fissa (vivendo alla giornata), chi per motivi di orario non ha la pausa pranzo e chi frequenta mense di altre aziende.

Anche se non sempre è l’opzione preferita, dunque, sono in molti quelli a cui capita di uscire a pranzo presso bar, ristoranti o altri esercizi commerciali durante il lavoro. Più della metà opta per un un bar tradizionale, seguiti da quelli che frequentano i classici ristoranti e trattorie. Un discreto numero scegliere invece fast food e self service, mentre solo una piccola parte opta per pizzerie d’asporto, tavole fredde, ristoranti etnici e gastronomie.

Pausa pranzo: ma quanto mi costi?

Secondo i dati Istat di ottobre scorso, l’inflazione ha raggiunto ormai l’11,9% su base annua. Ad essere aumentati sono proprio i prezzi dei prodotti a cui non possiamo rinunciare, come i prodotti alimentari (+13,1% in un anno), ma anche tutte le attività legare alla ristorazione (+5,1% in un anno). Sia che un lavoratore mangi in bar e ristoranti, dunque, sia che si porti il pranzo da casa o che rientri a casa per cucinare, il costo che deve sostenere per la sua pausa pranzo è certamente aumentato.

Ci siamo allora chiesti cosa mangia e soprattutto quanto spende chi fa pausa pranzo fuori. Una domanda che abbiamo rivolto alla nostra community di ACmakers, scoprendo che in media i nostri intervistati pagano circa 9,40 euro per il pranzo durante l’orario lavorativo. Si tratta di una cifra non da poco, soprattutto se si pensa che in un anno (considerando circa 230 giorni lavorativi) questi lavoratori spenderebbero più di duemila euro (2.164 euro per l’esattezza) solo per mangiare e bere durante la loro pausa dal lavoro.

La percezione più comune tra coloro che ci hanno risposto è quella di un aumento di costi rispetto allo scorso anno; praticamente nessuno, infatti, ha dichiarato di spendere meno di un anno fa: in base alle loro dichiarazioni (e alla loro memoria) nel 2021 in pausa pranzo si spendeva una media di circa 8,30 euro a fronte appunto dei 9,40 euro attuali.

Il meno caro? Un panino al bar 

Non si spende ovviamente la stessa cifra in tutte le tipologie di ristorazione. Secondo l'esperienza della community di persone che ha risposto al nostro sondaggio, le classiche trattorie e i ristoranti offrono pasti a prezzi più alti (in media 11,10 euro), a seguire troviamo i fast food (9,30 euro), i self service (8,90 euro) e a chiudere i bar (8,30 euro). Inoltre i prezzi sono certamente influenzati anche dal tipo di pasto consumato dai nostri intervistati: per un pasto completo (primo, secondo e contorno) ad esempio hanno dichiarato di spendere in media 11,30 euro, per un'insalatona (o un piatto freddo) circa 9,60 euro, mentre per un panino, un tramezzino o una piadina sono stati attorno ai 7,70 euro.

Insomma, più di un intervistato su tre spende dai 6 ai 9 euro, ma tra chi ha risposto sono molti anche coloro che hanno dichiarato di spendere dai 9 ai 12 euro e uno su quattro addirittura tra i 12 e i 20 euro. Questo certamente spiega almeno in parte il perché siano in tanti a preferire, di questi tempi, la cara vecchia schiscetta portata da casa.

Pausa pranzo, come la paghi?

Solo un intervistato su quattro ha dichiarato di pagare il suo pranzo in contanti; gli altri utilizzano carte e bancomat, con un intervistato su tre che utilizza invece i buoni pasto (TicketRestaurant, Pellegrini, Sodexo...). Circa la metà di quelli che hanno partecipato al nostro sondaggio, tuttavia, non li riceve, anche se qualcuno dichiara di utilizzarli comunque anche se non sono previsti dal suo contratto aziendale (ad esempio perché utilizza quelli di altri familiari). Tra chi li utilizza, infine, molti segnalano il fatto che un singolo buono non è sufficiente per coprire il costo del loro pranzo.

Buoni pasto: un percorso a ostacoli

Ma i buoni pasto non vengono spesi soltanto per pagare la pausa pranzo. Se un buon numero di chi li ha, li usa davvero in bar e ristoranti per pranzare quotidianamente, altri hanno dichiarato di preferire spenderli presso negozi di prodotti alimentari o in altri ristoranti e bar fuori dalla pausa pranzo. La maggior parte comunque opta per utilizzarli al supermercato per fare la spesa.

Tuttavia, la vita di chi riceve i buoni pasto come benefit non è semplice: innanzitutto una buona parte dei nostri intervistati dichiara che oggi, rispetto a qualche mese fa, i buoni pasti sono accettati da un minor numero di esercizi commerciali. Inoltre, le regole previste dalla legge pongono limiti al tipo di prodotto, di menù o alla cifra totale che si può pagare con i buoni pasto; parliamo ad esempio della possibilità di acquistare solo prodotti alimentari nei supermercati e il limite di un certo numero massimo (8) di buoni pasto imposto per singolo scontrino.

L’insieme di questi elementi penalizza l’apprezzamento del buono pasto. Abbiamo infatti chiesto agli intervistati un giudizio sulla soddisfazione nell’utilizzo di questo strumento. La scala di risposta prevista andava da zero (per niente soddisfatto) a cento (completamente soddisfatto): i nostri intervistati hanno espresso un giudizio di soddisfazione pari a 56: una sufficienza davvero stiracchiata.

Meglio i soldi in busta paga

Il motivo per cui sempre meno esercizi commerciali accettano i buoni pasto, o li accettano sono con mille restrizioni, è legato alle commissioni troppo alte che gli esercenti sono costrette a pagare per ogni transazione: abbiamo calcolato che per un pasto da 10 euro, 2 euro finiscono nelle tasche non del negoziante ma delle società che emettono i buoni

Per tutte queste ragioni, a cui si somma il già ridotto potere d’acquisto dei consumatori in un momento storico così delicato, riteniamo necessaria una riforma del sistema che vada a rendere più fruibile la liquidità legata al buono pasto, che ad oggi i lavoratori rischiano di non poter utilizzare. In questo periodo in cui le buste paghe dei lavoratori soffrono aumenti e inflazione, la nostra proposta al Governo è quella di mettere l'equivalente dei buoni direttamente nei cedolini, con gli stessi benefici fiscali che hanno oggi i buoni pasto. 

Un'operazione che può essere fatta semplicemente modificando il TUIR, il testo unico delle imposte sui redditi e che porterebbe grandi vantaggi ad aziende, dipendenti ed esercenti. Una sorta di indennità di mensa che va a rimpolpare le buste paga dei lavoratori; soldi da spendere come si desidera, senza limitazioni e senza più commissioni per bar, ristoranti e supermercati.

Se vuoi sostenere anche tu la nostra richiesta di mettere i buoni pasto in busta paga, firma la nostra petizione. 

Buoni pasto in busta paga: firma la petizione