Buoni pasto: sempre meno accettati e utilizzabili. L'esperienza dei lavoratori
Sempre meno esercenti accettano i buoni pasto a causa delle elevate commissioni di incasso applicate dalle aziende che li emettono. Il rischio è di avere in tasca uno strumento difficile da spendere come emerge dalla nostra indagine che ha coinvolto più di mille lavoratori. Chiediamo al governo di permettere alle aziende di mettere quei soldi direttamente nelle buste paga dei lavoratori, senza perdere i benefici fiscali. Firma la petizione.

Abbiamo intervistato più di mille lavoratori dipendenti tramite la nostra community ACmakers per capire come gestiscono la pausa pranzo quando sono al lavoro, se portano la schiscetta o escono a mangiare in bar e ristoranti e come usano i buoni pasto dati dall’azienda (Ticket Restaurant Edenred, Pellegrini, Sodexo...).
Quasi la metà degli intervistati si porta la schiscetta, solo un terzo preferisce uscire per un pranzo al bar o al ristorante. Anche se non sono pochi (uno su dieci) coloro che possono utilizzare la mensa aziendale e coloro che acquistano qualcosa al supermercato.
Il dato più interessante è, però, legato al carovita: sette intervistati su dieci usano i buoni pasto soprattutto per fare la spesa al supermercato, solo uno su cinque li spende nella pausa pranzo in bar e ristoranti. Anche perché, come evidenziano due intervistati su tre, il buono pasto ha un importo insufficiente a sostenere il costo di un pranzo. Del resto, parliamo di un valore medio di 7,10 euro.
Posso pagare coi ticket?
Dall'indagine emerge anche la sempre maggiore difficoltà a trovare bar e ristoranti che accettino i buoni pasto: due intervistati su dieci dichiarano di aver avuto difficoltà a pagare col ticket. Sempre meno esercizi commerciali accettano i buoni pasto o li accettano con restrizioni a causa delle commissioni troppo alte che gli esercenti sono costretti a pagare per ogni transazione, infatti tra l'11% e il 15% del buono pasto finisce nelle tasche non del negoziante, ma delle società che emettono i buoni.
Non stupisce, quindi, che gli intervistati (uno su tre) raccontino di avere avuto difficoltà a spenderli nei negozi di alimentari più piccoli (panetterie, macellerie, gastronomie…), così come nei bar e ristoranti a cena e nei week end e anche in quelli delle località turistiche. Quante volte abbiamo letto “si accettano i ticket solo a pranzo”… Mentre è più facile usarli nei supermercati dove nella maggior parte dei casi vengono accettati seppure con le limitazioni previste dalla legge: massimo otto buoni per singolo scontrino e solo per l’acquisto di prodotti alimentari.
Il motivo per cui sempre meno esercizi commerciali accettano i buoni pasto, o li accettano sono con mille restrizioni, è legato alle commissioni troppo alte che gli esercenti sono costrette a pagare per ogni transazione: abbiamo calcolato che per un pasto da 10 euro, fino a 1,50 euro finisce nelle tasche non del negoziante, ma delle società che emettono i buoni.
Un sistema da riformare
I buoni pasto sono titoli di pagamento dal valore predeterminato (stabilito dal datore di lavoro, in genere compreso tra 5,29 e 10 euro) che possono essere usati in ristoranti, pizzerie, trattorie, bar, take away, fast food, gastronomie, supermercati e ipermercati convenzionati con la società che li emette, dagli artigiani e dagli agriturismi. Possono essere usati durante la pausa pranzo, per pagare il pasto, ma anche per l'acquisto di prodotti alimentari. I ticket possono essere in forma cartacea (il carnet) o elettronica. Sono esenti da imposte: i cartacei fino a 4 euro, quelli elettronici fino a 8 euro. In questo articolo trovi tutte le informazioni pratiche su come funzionano e come si utilizzano i buoni pasto.
Ecco come funziona: il datore di lavoro fa un contratto con la società emettitrice dei buoni (Edenred, Sodexo, Pellegrini...) per il servizio sostitutivo di mensa e paga ogni mese una somma per i ticket da distribuire ai dipendenti. Queste società stipulano convenzioni con bar, ristoranti & co che accettano i buoni pasto come titoli di pagamento. Per aggiudicarsi l’appalto, queste società fanno lo “sconto” al datore di lavoro sul valore del buono pasto e poi si rifanno dello sconto con le commissioni richieste agli esercenti. Infatti, bar e ristoranti affiliati che accettano i buoni pasto quando vanno all’incasso pagano una commissione alla società che li emette. Solitamente è tra l’11% e il 15% del valore del buono pasto, quindi se vale 10 euro restano nelle casse della società emettitrice fino a 1,50 euro. Non poco. Proprio le commissioni troppo alte hanno indotto molti esercenti a non accettare più i buoni pasto.
Il tetto alle commissioni per i buoni pasto della Pubblica amministrazione
Nel 2022 le organizzazioni del settore (Confcommercio, Confesercenti, Federdistribuzione, Coop e Conad) hanno denunciato la degenerazione del sistema con uno sciopero e dopo una lunga contrattazione hanno ottenuto l’introduzione per legge di un tetto alle commissioni. La modifica legislativa, entrata in vigore nel luglio del 2022, fissa al 5% il tetto alle commissioni di incasso applicate dalle società che emettono buoni agli esercenti.
Questo tetto, però, riguarda solo le gare pubbliche e quindi la Pubblica amministrazione e non si applica anche ai contratti dei datori di lavoro privati. Per questo le organizzazioni del settore si stanno battendo perché anche la soglia massima di sconto ai datori di lavoro privati sia fissata al 5% come per la Pubblica amministrazione.
Il caso Edenred
Il tentativo di mettere un tetto alle commissioni chieste agli esercenti non sembra aver intaccato il funzionamento del sistema che scaricava lo sconto fatto ai datori di lavoro sulla commissione chiesta agli esercenti. Almeno stando a quanto riportano le cronache recenti. Infatti, nel febbraio scorso, Edenred Italia, società leader nei buoni pasto è stata messa sotto indagine dalla Procura di Roma per truffa aggravata, turbativa d’asta e illeciti amministrativi. Secondo l’ipotesi di reato: «la società aggiudicataria ed emittente i ticket restaurant, in fase di presentazione dell'offerta avrebbero falsamente dichiarato l'equivalenza tra il ribasso (o «sconto») praticato alla P. A. e la commissione (o «sconto incondizionato») applicata agli esercizi convenzionati, presupposto stabilito a pena di inammissibilità dalla legge di gara». Infatti, avrebbero stipulato con gli esercizi convenzionati accordi paralleli rispetto a quelli previsti dalla gara «volti ad alterare il rapporto di equivalenza fra ribasso e commissione dichiarato in sede di offerta».
Meglio i soldi in busta paga
In questo periodo in cui le buste paghe dei lavoratori soffrono il carovita, è necessaria una riforma del sistema dei buoni pasto che renda più facile usare questo importante benefit. Non dimentichiamo che i buoni pasto sostituiscono il servizio di mensa aziendale e sono un importante strumento di integrazione del reddito mensile dei lavoratori in quanto esentasse. Spettano a tutti i dipendenti pubblici e privati che non possono usufruire della mensa aziendale. Per questo non concorrono a formare il reddito da lavoro dipendente e, quindi, sono esenti da imposte: i cartacei fino a 5,29 euro, quelli elettronici fino a 7 euro.
La nostra proposta al Governo è quella di mettere l'equivalente dei buoni direttamente nella busta paga, con gli stessi benefici fiscali. Un'operazione che può essere fatta modificando il TUIR, il testo unico delle imposte sui redditi e che porterebbe grandi vantaggi ad aziende, dipendenti ed esercenti. Una sorta di indennità di mensa che va a rimpolpare le buste paga dei lavoratori: soldi da spendere come si desidera, senza limitazioni e senza più commissioni per bar, ristoranti e supermercati.
Abbiamo lanciato una petizione per chiedere al governo di permettere alle aziende di mettere quei soldi direttamente nelle buste paga dei lavoratori, mantenendo le agevolazioni fiscali oggi previste per i buoni pasto sia per le aziende, sia per i lavoratori.
Se vuoi sostenere anche tu la nostra richiesta di mettere i buoni pasto in busta paga, firma la nostra petizione.
Buoni pasto in busta paga: firma la petizione